Il calcio è una malattia, c’è poco da fare. La gioia di una vittoria al 90′, di una partita ben giocata, di un rigore di Fabio Grosso contro la Francia o di quello di un comune dilettante in una partita di Terza Categoria. Sono sensazioni indescrivibili, che vanno al di là di un pallone che rotola. C’è senso di appartenenza, ambizione, voglia di rivalsa verso una vita che non fa altro che metterti alla prova un giorno sì e l’altro pure. Ma basta un attimo per cambiare le cose, in meglio o in peggio. E di attimi diversi Lorenzo Insigne ne ha vissuti parecchi, soprattutto da quando ha iniziato a essere uno che la palla la tratta meglio degli altri.
Insigne si è costruito da solo
Lorenzo Insigne ha una storia particolare. O meglio, è la semplicità della sua storia a renderla così particolare. Sembra un calciatore pre-anni ’90. Di quelli che dedicano tutta la vita alla propria squadra, dopo aver fatto gavetta in provincia. Purtroppo o per fortuna, Insigne è un calciatore del Napoli. E il filo che lega il ‘purtroppo‘ dal ‘per fortuna‘, mai come in questo caso, è molto ridotto. Sì, perché Lorenzo è un ragazzo della periferia, uno di quelli che non aveva alcuna possibilità di farcela, perché semplicemente non glien’é mai stata concessa una. Quello che ha oggi se l’è creato da solo, le cose buone e le cose cattive. E’ difficile emergere nel settore giovanile del Napoli, che solo in apparenza permette ai ragazzi una possibilità. Non ci sono campi di proprietà del club su cui allenarsi, non c’è un centro sportivo, non ci sono navette che aiutino i calciatori sulla questione logistica, non ci sono investimenti. Il settore giovanile, per la Società Sportiva Calcio Napoli, è soltanto un peso. C’è ancora perché è obbligatorio che ci sia. Nonostante tutte queste difficoltà, Insigne è riuscito a diventare uno dei migliori calciatori della Serie A.
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Insigne-Napoli: un rapporto difficile
Il rapporto tra i tifosi del Napoli e Lorenzo Insigne non è mai stato dei migliori. Lui stesso lo ha ribadito più volte davanti ai microfoni. Uno dei problemi è che i tifosi non hanno mai visto il loro capitano come una persona normale che fa cose fantastiche con il pallone tra i piedi. Come magari lo è Mertens o lo è stato Lavezzi. No. Insigne è sempre stato visto come un capopopolo, come colui che è Destinato Alla Grandezza. C’è una sorta di misticità ingiustificata attorno al capitano del Napoli, solo perché veste la maglia della città in cui è nato e di cui è tifoso. Per fare un esempio molto spicciolo della relazione tra le parti: è come una madre che rimprovera severamente il figlio quando commette un minimo errore, ma che lo coccola come non mai quando prende un buon voto a scuola. Non esistono mezze misure. Le persone che popolano il mondo del calcio hanno memoria corta, questo vale sia per le cose giuste, sia per quelle sbagliate. Il fatto di mettere Insigne alla gogna –come nel caso dell’ammutinamento– o di pensare alla riassegnazione della 10 –come quando si erge a miglior calciatore italiano della Serie A– fa parte da anni della relazione tra Napoli e il suo capitano. A Napoli di capopopolo ce n’è stato soltanto uno, Diego Armando Maradona. La 10 è stata ritirata in suo onore, ma all’ombra del Vesuvio c’è un problema.
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Napoli, c’è un problema con la numero 10
Il numero 10 nel mondo del calcio si sta evolvendo. La sua figura ‘classica’, quella del trequartista, non esiste più. Quelli che occupano questo ruolo la maggior parte al giorno d’oggi giocano come mezzala, o -come nel caso di Insigne– come esterno offensivo. Ogni qualvolta si manifesti un calciatore per certi versi con caratteristiche simili a quelle di un numero 10, a Napoli il bisogno di riassegnare quella maglia è morboso. A tratti patetico. Tanto si è parlato di assegnarla a Insigne. Lui, però, ha le idee chiare su questa storia.
Insigne in 27 secondi ha spiegato perfettamente cosa vuol dire indossare la maglia numero 10 al Napoli: “E’ un sogno per ogni napoletano, ma è giusto che sia stata ritirata e resti nel cassetto“. Parole di sette anni fa, che risuonano ancora attuali. Anche quando Roberto Mancini, ct dell’Italia, ha iniziato a costruire la squadra intorno al 24, così come fece Maurizio Sarri, cucendogliela su misura come una bella camicia da indossare prima di una festa con gli amici. Il Mancio è riuscito dove Prandelli e Ventura hanno fallito e dove Conte ha preferito munirsi di 23 Davide che sono andati a combattere contro i Golia del calcio moderno, uscendone sconfitto per un soffio. Oggi il Napoli di Gattuso si coccola il suo ’24’, con la speranza di riuscire a tenere a bada gli sbalzi d’umore dei tifosi e del loro capitano.
Di Nico Bastone
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