E’ girato il vento, Lorenzo Insigne… «Ed era pure ora. Non ricordo più neanche quanti legni, tra pali e traverse, ho colpito: forse quattro o addirittura cinque; e pure l’altra sera contro l’Atalanta… Non mi andava bene prima, mi sta andando benino ora. Però io ci ho creduto sempre».
E un po’ si era immalinconito. «Non sapevo come fare, pensavo che il destino avesse deciso di girarmi le spalle: palloni che uscivano fuori di poco, conclusioni che non andavano come volevo, errori sotto porta. Sai, ad un certo punto ti chiedi anche cosa stia succedendo».
Benitez l’ha tenuto su con belle parole.«La sua calma è rassicurante, ha provveduto a tenermi su: io sono testardo, vero, e non mi sono mai fatto travolgere dall’ansia; però volevo segnare. Le parole di sabato scorso sono servite per spargere in me ulteriore tranquillità. E dette da un tecnico del suo spessore».
E a Verona poi c’è scappata l’esultanza con le orecchie spalancate… «Non l’avrei mai fatto se durante il riscaldamento non m’avessero insultato ripetutamente».
La famiglia è sacra. «E’ la mia vita. Lo è stato da bambino, lo è adesso che sono sposato e ho un figlio. Io non sono cambiato, ero vivace, sia chiaro, però legato ai genitori. Ed ora c’è Carmine che è un monello, proprio come lo ero io: però se sto un giorno fuori, ne avverto la mancanza».
Finita la partita, in trasferta, il solito rito. «Chiamo casa, parlo con tutti. Al San Paolo vengono a vedermi, non ne saltano una, ma mia madre e mio padre mi hanno seguito sin da quando ho cominciato da bambino, non ricordo una domenica senza di loro».
Si è chiuso il girone di andata. «E c’è tutto quello di ritorno, nel quale può succedere qualsiasi cosa. Noi non facciamo promesse, però con diciannove sfide a disposizione è chiaro che i verdetti non siano decisi».
La classifica dice la verità? «Senz’altro. E complimenti alla Juventus e alla Roma per quello che stanno facendo. Ma complimenti anche al Napoli: girare a 42 è un’impresa, che passa in secondo piano solo perché davanti abbiamo trovato due rivali che viaggiano ad una velocità sconcertante. Ma con altri 57 punti a disposizione… Attenti anche alla Fiorentina, gioca benissimo e ha un allenatore fantastico. E poi speriamo, egoisticamente, che Inter e Milan non si sveglino».
Giochino: dovesse scegliere, a questo punto, tra la Coppa Italia e l’Europa League? «Non è possibile prenderle entrambe? Chi vive alla giornata non fa programmi, ma noi vogliamo vincere qualcosa».
Nell’album di Insigne il gol più bello qual è? «La punizione al Borussia Dortmund. Penso che chiunque speri un giorno di fare il calciatore, sogni poi di giocare una partita di Champions e di segnare un gol nel proprio stadio. Quella sera è accaduto tutto ciò. Ed è stato pure un bel gesto tecnico».
La delusione più grande? «La finale dell’Europeo Under 21 con la Spagna. Ma affrontavamo dei marziani, gente con 30 sfide internazionali sulle spalle, e la differenza l’ha fatta l’esperienza».
I momenti più toccanti? «La promozione a Pescara è stato il primo: non avevo mai provato la felicità che può dare un successo; siamo riusciti a restituire la serie A a una società e a una città che aspettavano quel momento da venti anni e lo abbiamo fatto giocando un calcio spettacolare: non so se per noi c’è un posto nella storia, ma penso sia complicato far meglio. Ma mi ha toccato anche debuttare al San Paolo, segnare il mio primo gol in serie A con la maglia azzurra, approdare in Nazionale».
Pescara (e non solo Pescara) vuol dire Zeman. «E’ stato il mio maestro, mi ha insegnato movimenti offensivi pazzeschi e mi ha trasmesso mentalità. Mi ha voluto a Foggia in serie C e poi mi ha rivoluto a Pescara, mostrando di avere fiducia in me, che ero ancora un ragazzino. Non potrò mai dirgli grazie abbastanza».
Poi Napoli… «C’erano perplessità, sono partito per il ritiro di Dimaro senza che avessi la certezza di restare, mi volevano in serie A ma ho chiesto di provare a giocarmela e sono stato accontentato. Ero in ballottaggio con Vargas, ce l’ho fatta. E da Mazzarri ho ricevuto comunque tanta attenzione».
Domanda inevitabile: tra Cavani e Higuain chi sceglie? «Siamo al cospetto di due autentici fuoriclasse, diversi per carattere e anche per caratteristiche: ho avuto la fortuna di giocare prima al fianco di uno e ora con un altro e possono dire che m’è andata di lusso. Cavani viveva in funzione del gol, come i centravanti in genere; Gonzalo è più altruista».
Il giovane che l’entusiasma? «Pogba è impressionante, fa tutto con semplicità e ha una personalità che sembra naturali. Non gli costa fatica, insomma, essere quello che è. Poi Berardi, ma non solo per i quattro gol al Milan».
Il Pallone d’Oro a Ronaldo. «L’ha vinto meritatamente, anche se va riconosciuta la straordinaria stagione di Ribery. Ma Ronaldo è stato straripante, soprattutto con la Nazionale:penso sia arrivato a settanta gol, cifre da fantascienza. Però sia anche chiara una cosa: il mio preferito, attualmente, resta Messi. Mi sia consentita una considerazione a margine: aver visto Ronaldo piangere m’ha stupito e incuriosito, dev’essere un’emozione grossa salire su quel palco e sapere che sei il migliore».
L’Insigne casalingo è un padre e un marito modello? «Finita l’intervista, andrò al supermercato a far la spesa con Genny. Mi diverto. Ma non ho mai cambiato il pannolino a Carmine, mi risulta complicato».
L’Insigne calciatore del Napoli a quali traguardi ambisce? «Restare per sempre in questo club, diventare il capitano e dunque la bandiera, poter segnare un’epoca».
Il pensierino finale a chi lo dedichiamo? «A Giuseppe Rossi, spero possa riprendersi in fretta, per giocarsi il Mondiale. E’ un ragazzo sensibilissimo, al quale la sorte dovrebbe restituirgli quello che gli ha tolto».
Direbbe Pino Daniele, “chillu è nu buono guaglione”, come Insigne. «Mi faccio voler bene e sto bene con chiunque. Mi ritengo fortunato, ho avuto quello che volevo ma lavoro per ottenere altro: questo è il calcio, questa è anche la vita».
Le chiediamo di non essere diplomatico: ha colto un po’ d’insofferenza nella gente, nelle diciotto domeniche all’asciutto? «Quando non segni è chiaro che nascano dubbi. Però, mi creda, non ho avuto contraccolpi, né ho colto sfiducia nell’ambiente: semmai c’era la stessa impazienza che avvertivo io. Ma mai rabbia. E poi quando sei in un club come il Napoli, con calciatori di quel livello al fianco e con Benitez che ti guida, ti viene facile riuscire a dominare anche i momenti negativi. E’ andata, va: un gol al Verona, uno all’Atalanta. Ora ne vorrei uno bellissimo».
Fonte: Corriere dello Sport
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