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Insigne sognava la maglia azzurra. Ora è realtà

La signora Patrizia: "Lorenzo sin da piccolo aveva un chiodo fisso, il pallone"

Era un bel problema chiamarlo dal terrazzino di casa, al primo piano, zona Palazzine di via Rossini, a Frattamaggiore. Mamma Patrizia si doveva sgolare e Enzino, Lorenzo Insigne, non voleva smettere mai. Calava il sole, faceva buio, e lui restava lì a dribblare, ridribblare, con Roberto e Marco, più piccoli, tutti con la maglia del Napoli fin sotto le ginocchia, a correre con lui. Nato per il pallone, solo per il pallone. Anzi nati per il pallone. La famiglia Insigne e il calcio, una cosa sola: da papà Carmine al primogenito Antonio, a Lorenzo, Roberto e Marco. Hanno giocato tutti, Antonio ha smesso e sta per aprire un negozio di articoli sportivi, Roberto fa la mezzala nella Primavera del Napoli, Marco è il più discontinuo. Centrocampista come Roberto, si era fermato un attimo, riprenderà con la Frattese. Tutti con il pallone tra i piedi, ma come Lorenzo nessuno. «Lorenzo è nato con il pallone, per il pallone – sorride mamma Patrizia – ogni quaderno diventava una palla, questa è la verità nuda e cruda. Perché lui cercava uno scotch, strappava le pagine e ne faceva una pallottola, chiudeva tutto e calciava, palleggiava». Scatenato. La scuola materna Enrico Fermi in corso Europa, è un’altra tappa del nostro viaggio a Frattamaggiore: era la scuola di Enzino, di fronte – caso o destino? – un altro campetto di calcio che oggi è stato cementato. Enzino giocava anche lì.

PREDESTINATO – Già, Lorenzo è il predestinato di casa. Lorenzo ha toccato l’erba del San Paolo. Lorenzo ha fatto innamorare Napoli quasi… prima di cominciare. Enzino abbiamo detto: per chi lo ha visto crescere e lo abbrevia così. Sono il presidente, i dirigenti e i tecnici dell’Olimpia Sant’Arpino, la scuola calcio che potremmo ribattezzare casa Insigne, perché i quattro figli di Carmine e Patrizia sono passati tutti di lì: «Ho fatto la strada da casa a Sant’Arpino (pochi chilometri più in là di Frattamaggiore, n.d.i.), per tanti anni – racconta papà Carmine – non ricordo nemmeno più le volte. Mi sono appassionato a seguirli tutti e quattro». Domenica sera al San Paolo è stato come il momento in cui tutti i sacrifici sono stati ripagati. Carmine aveva gli occhi lucidi, Patrizia di più. E’ bastato uno sguardo con Lorenzo per dirsi tutto. Lui ha aggiunto solo quello che avrebbe ripetuto poi ad uno dei suoi due manager, Antonio Ottaiano: «Da pelle d’oca». Beh, il San Paolo, seppur meno di mezzo San Paolo, che ti tributa quella standing ovation, non può che far tremare i polsi a chi quella scena l’ha sempre solo sognata. Lorenzo l’ha anche fortemente voluta. E il ruolo da protagonista ha cominciato a recitarlo da quando era piccolino, otto anni, nell’Olimpia Sant’Arpino. «Andavamo a fare i tornei in Sicilia e a Torino e i ragazzi, le famiglie degli altri calciatori, alla fine delle partite, con i trofei che vincevamo grazie a lui, volevano fare le foto con lui» racconta Orazio Vitale, il presidente della scuola calcio che ora non c’è più. E’ rimasto l’impianto, Ludi Atellani. E ci sono i due campi su cui Enzino giocava (uno ora è in sintetico, l’altro è rimasto di terra, n.d.i.) sotto gli occhi del suo primo maestro, Enzo Setola, una carriera da calciatore dilettante. «Lo abbiamo solo accompagnato, ha fatto tutto da solo, con la classe che aveva e che ha». 
MITI E PARAGONI – Claudio Sala lo vide piccolino, quando il Toro più volte fu vicino a prenderlo (e poi con il fallimento tramontò tutto, n.d.i.) e sentenziò: «Questo ragazzino è più forte di me quando avevo la sua età». In casa Enzino è cresciuto a Del Piero e Maradona. Uno è il mito contemporaneo, l’altro un pezzo di storia in cui Napoli ha sognato, vinto e goduto. Alex è il modello in campo e fuori, Alex è la lingua in faccia al mondo quando esulta (e così ha fatto anche Insigne mutuando il gesto misto a felicità e scherno, n.d.i.), Alex è il rammarico che ha Insigne di non essere riuscito ad arrivare in A quando c’era ancora lui per scambiarsi la maglia. Diego è Diego, qualcosa da cui restare affascinato anche perché non lo hai visto dal vivo, forse ancor più per quello: l’essere incastonato nel passato alimenta il fascino del mito. Enzino ha divorato immagini, filmati di Maradona, è nato mentre il sole di Diego tramontava, spinto oltre l’orizzonte dalla notte del doping. Una notte che è rimasta luce per sempre negli occhi di Napoli. E che dava alla luce, in quei mesi, il futuro ancora sconosciuto. Enzo Maradona se lo è fatto raccontare, lo ha respirato. E quando è entrato a casa del suo manager Antonio Ottaiano… «Mi ha chiesto di vedere la maglia di Diego che io ho e custodisco gelosamente» dice il procuratore della nuova stella del Napoli. «Aveva gli occhi fissi, l’ha guardata a lungo». Chissà cosa avrà pensato Enzino, chissà quale brivido avrà percorso la schiena di questo ragazzo che le emozioni sa tenersele per sé, mostrandosi sfrontato anche quando magari brucia dentro. Di certo quella standing ovation del San Paolo, senza scomodare paragoni fuori luogo, una responsabilità a Lorenzo Insigne l’ha assegnata. Quella di essere il nuovo oro di Napoli.
Fonte: Corriere dello Sport
La Redazione
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