Un assegno di millecinquecento euro, un sorriso contro le risate e una promessa: vinceremo la scommessa. Quando all’alba della stagione 2005-2006 Giuseppe Santoro, allora responsabile del neonato settore giovanile del Napoli, acquistò un soldo di cacio di nome Lorenzo Insigne, furono in molti a ridere. Troppo basso, il ritornello incassato con pazienza. Piccoletto per reggere il confronto con i marcantoni, le botte e i calci del moderno calcio fisico: Lorenzo, che forse all’epoca sfiorava appena il metro e 60, non era di certo un culturista. Però era già un artista bambino del pallone. Millecinquecento euro benedetti: scommessa stravinta.
LA CONSACRAZIONE – E allora, alle radici e alle origini di questo ragazzo di 20 anni, 21 il 4 giugno, che verrebbe una voglia matta di definire fenomeno. Sì, fenomeno: poco più di un metro e 60 centimetri, ma piedi e testa collegati dal filo di una genialità rara, da un talento puro come l’oro che meriterebbe la consacrazione immediata. Però il mondo, a volte, è bene che rallenti, così da non avere capogiri, e dunque prima dell’incoronazione definitiva forse è meglio attendere l’ultimo salto di categoria. E non di qualità: perché di quella, Lorenzo detto il Magnifico, potrebbe venderne quanta ne vuole.
L’UMILTÀ – C’è una cosa, tra l’altro, che chi lo conosce molto bene continua a ripetere: il rischio che perda la bussola non esiste, perché Insigne è un genio regolato. Lavoratore vero e professionista serio. E le dichiarazioni rilasciate ieri a Radio Goal, in effetti, confermano l’umiltà: «De Laurentiis mi rivuole a Napoli? Ne sono onorato e felice, lo ringrazio della stima, ma prima devo finire il campionato con il Pescara. Al futuro penserò dopo». Tornerà subito in azzurro oppure proseguirà il tour in prestito? «Non so cosa accadrà: se resterò a Pescara in A oppure rientrerò alla base. Decidono i club. Non ho la pretesa di giocare titolare nel Napoli, anzi, però vorrei essere trattato al pari di tutti i compagni: un attaccante come gli altri e non un giovane che deve maturare. Tutto qua: altrimenti preferirei rimanere un anno a Pescara».
LE ORIGINI – Idee molto chiare. Le stesse che gli hanno permesso di scalare la montagna nonostante un fisico alla Giovinco (è alto poco più di 160 centimetri). Bella davvero, la sua storia. Che s’intreccia a quella di Giuseppe Santoro detto Peppe, finissimo talent scout, che all’epoca dirigeva il settore giovanile azzurro e oggi è uno delle anime della squadra di Mazzarri, con il ruolo di team manager soltanto come etichetta. Da grande esperto, Santoro lo notò a un raduno di fine 2005 a Grumo Nevano e, sfruttando il rapporto con Orazio Vitale, presidente dell’allora scuola calcio Olimpia Sant’Arpino, dove Insigne ha mosso i primi passi, riuscì a strapparlo al Torino (casa madre del vivaio).
IL VALORE – Costo dell’operazione? Millecinquecento euro. «Ho venduto Lorenzo al mio amico Santoro, non al Napoli» , ha sempre dichiarato Vitale. E pensare che quando Insigne fu portato a casa, lo scetticismo si mescolava alle risate. Beh, oggi la metà del cartellino del ragazzo può valere anche 5 o 6 milioni di euro. E c’è poco da ridere. Lacrime di gioia, invece, furono piante in famiglia: papà Carmine, operaio in una fabbrica di scarpe sempre in lotta con la crisi economica; donna Patrizia, mamma a tempo pieno; i fratelli Antonio (ex calciatore), Roberto (ora in Primavera azzurra) e Marco. Il calcio, per loro, è vita e festa.
I SOGNI – La scalata nel Napoli fu rapidissima dal 2006 al 2009: Giovanissimi, Allievi e Primavera (con titolo di capocannoniere nazionale). Nel 2008 firma il primo contratto da professionista con il club azzurro – va in scadenza nel 2016 – e il 24 gennaio 2010, Mazzarri lo fa esordire a Livorno, in serie A. Qualche settimana dopo va in prestito alla Cavese, ma è l’anno successivo che esplode modello atomica: a Foggia con Zeman. Che poi lo porta anche in B a Pescara, dove conosce l’Under 21, la promozione in A e l’emozione del palcoscenico da superstar. E questa è la storia fino a oggi. E domani? «Se dovessi arrivare a Napoli farei di tutto per ricambiare la fiducia». Provare per credere. E magari, un giorno, diventare capitano e bandiera: «Sì, magari? Come Paolo Cannavaro». Il suo manager, Antonio Ottaiano, incontrerà il ds Bigon nei prossimi giorni. L’attesa cresce: il popolo azzurro è già pazzo di lui.
Fonte: Corriere dello Sport
La Redazione
A.S.
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