Il futuro è già scritto: 2017. Perché in quella firma, in quel contratto, c’è il desiderio dell’infanzia, c’è la scelta di una vita e per la vita di Lorenzo Insigne: «Io qua sono a casa mia, sono napoletano e gioco nel Napoli e qua resto». Detto e ridetto, affinché non ci fossero perplessità: e ripetuto ad oltranza, sino alla noia, perché sia chiarissimo a chiunque, anche agli eventuali estimatori sparsi ovunque, in Italia e all’Estero. Un anno fa si fece avanti la Roma: lo avrebbe voluto Zeman, per continuare a disegnargli addosso i suoi schemi. Impossibile: il veto arrivò da De Laurentiis e il genietto di Frattamaggiore fu consegnato a Mazzarri, per gestirlo secondo abitudini personali.
In ritiro, a Dimaro, Insigne è il quarto attaccante: ha davanti a sé Cavani (e ci mancherebbe), poi Pandev (ed è giusto così) e Vargas (sacrosanto: dodici milioni di euro per il pallone d’argento del Sud America). Ma si capisce subito che qualcosa sta cambiando, già in amichevole con il Bayern Monaco, poi quando finisce la preparazione, per esempio a Pechino, dove Insigne si scalda e non entra solo perché Pandev viene espulso.
A Palermo, la prima di campionato, Mazzarri ha già rivisto le gerarchie: senza il macedone, al fianco di Cavani gioca il «monello» di Frattamaggiore, che viene confermato con la Fiorentina e diviene la prima sostituzione contro il Parma, quando è arrivato il momento – e la possibilità – di schierare i tre tenori. Alle spalle dei quali ormai c’è Insigne: perché non è poi vero che nessuno riesca ad essere profeta in patria.
Fonte: Corriere dello Sport
La Redazione
A.S.
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