Pozzuoli, via Fatale, un vicoletto nascosto dietro il lungomare attrezzato. Casa Miele accoglie in un abbraccio i diciassette amici invitati da Lina a guardare la partita. Il giallo caldo delle pareti e l’aria estiva avvolgono con tenerezza gli animi impensieriti. I volti sono tesi e smagriti dall’ansia. «Non si mangia, si guarda solo la partita», ammonisce qualcuno, eppure tutti quelli che entrano portano un cartoccio pieno di cose buone. Benjamin ,il gatto siamese dagli occhi blu, viene posizionato scaramanticamente sotto al televisore, con il muso rivolto verso la porta avversaria. È un rito: se restava bene, se va via, si salvi chi può. Benjamin recalcitra. Poi scappa. È tutto già scritto ma si spera lo stesso. Alle prime immagini dello stadio juventino scattano gestacci e brutte parole. Marco pensa abbiano indossato la maglietta nera per farci paura. Fiumi di prosecco innaffiano la tensione. È solo una partita: perché non passa? Volume altissimo ad annullare ciò che c’è all’esterno. È evidente che si cerca il pareggio, invece arriva il 2-0. Vincono meritatamente, ma lo stile viene meno quando intonano la nostra «‘O surdat’‘nnammurat», la nostra canzone, quella che non siamo più liberi di cantare nel nostro stadio. «Non è successo niente» esclama Gino. Arrivano i primi. Stasera ci si sfama così.
Fonte: Il Mattino
La Redazione
M.V.
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