Sociologo del lavoro, teorico dell’ozio creativo, Domenico De Masi è tifoso del Napoli e di Napoli.
Una città, professore, che, ogni tanto, qualcosa vince.
«Noi abbiamo tutte le risorse tranne la capacità organizzativa. Discendiamo dai greci, che, tranne Atene, hanno organizzato ben poco. Uno svizzero, con meno doti e meno fantasia, arriva e ci frega».
Come si crea l’organizzazione?
«Con un leader carismatico e delle norme rispettate».
E ha detto niente...
«De Laurentiis s’è dimostrato un leader con una strategia pluriennale. Ha saputo gestire uomini e fondi. Con questo non voglio dire che lo dobbiamo eleggere sindaco».
Ma neanche lui lo vorrebbe.
«Un leader deve però sapere che è amato nel momento del successo, ma si deve preparare al sentimento opposto che scatta subito dopo».
Possiamo esportare questo modello fuori dal calcio?
«Un esempio nel mondo c’è. Ed è il Brasile».
Maestri del calcio, naturalmente.
«Ma non si tratta solo di calcio. Pensi alla gestione del Carnevale. Ci sono ben due Stati brasiliani che fondano tutta la loro economia sul Carnevale, che non è una Piedigrotta qualsiasi, ma un evento enorme che ha bisogno di lavoro costante. Bene, loro ci riescono e lo fanno con grande divertimento di chi lo vive e di chi lo produce. Mettono insieme un’organizzazione harvardiana con l’ozio creativo. E il Brasile oggi è tra i tre Paesi più dinamici al mondo, con la Cina e gli Stati Uniti».
A Napoli si tira sempre fuori la mancanza di strutture, la camorra. Alibi o realtà?
«Certo che ci sono. Ma ci sono, comunque, sia quando si perde che quando si vince. La conseguenza è che per avere successo devi lavorare il triplo e se non sei motivato ti stufi. Quelli che abbandonano sono più di quelli che resistono. Noi napoletani potremmo essere i brasiliani d’Italia. Lo aveva capito anche Goethe nel Settecento, quando scriveva che per le strade della città non aveva visto sfaccendati e disoccupati, ma solo gente che lavorava per procurarsi da vivere. In queste parole vedeva il Brasile di oggi».
Che lezione trae da questa vittoria?
«Che i napoletani per creare benessere devono copiare tre elementi dal Napoli: la tecnica (dei giocatori), la professionalità (della società) e l’entusiasmo (dei tifosi). Ma su certi tifosi vorrei aggiungere qualcosa».
Prego, a chi si riferisce?
«A quelli che a Roma hanno fischiato l’Inno. Ma come si sono permessi con quello che è accaduto a Brindisi e a Ferrara?».
Perché l’hanno fatto, secondo lei?
«Siamo in piena crisi economica e la colpa della crisi è legata ai politici e così, nella loro stupidità, questa gentaglia fischia l’Inno».
Una forma di qualunquismo?
«Peggio, è un modo per scaricare su altri le proprie responsabilità. Immagino che quella gente sicuramente spesso e volentieri non ha pagato le tasse o non ha rilasciato uno scontrino. La loro è una criminalità diffusa di massa e hanno la faccia tosta di fischiare l’Inno che ricorda migliaia di giovani morti per un ideale».
Fonte: Il Mattino
La Redazione
P.S.
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