Dal Bologna al Bologna. Sono trascorsi tre anni da quel debutto sulla panchina del Napoli (18 ottobre 2009) ed il destino vuole che Mazzarri nel 2012 debba ripartire al San Paolo affrontando di nuovo i felsinei. Tante cose sono cambiate da allora: la mentalità della squadra, i traguardi raggiunti, l’assetto societario. Eppure l’intelaiatura base è rimasta più o meno la stessa. Otto-undicesimi di quella formazione, che strappò con i denti la prima vittoria della gestione Mazzarri, sono gli stessi. Quattro solo i volti nuovi: Dossena (o Zuniga), Inler, Cavani e Pandev. Gli altri sono in panchina. E’ la dimostrazione evidente di una progettualità tecnica senza precedenti. Ma anche la prova della continuità tattica destinata a migliorare ulteriormente. Se Mazzarri non ama cambiare tanto, un motivo c’è. E se l’allenatore, pur avendo provato una serie di elementi nuovi in questi tre anni, si affida sempre gli stessi, avrà le sue ragioni.
LA FILOSOFIA- Il Napoli con l’avvento del tecnico toscano (e del suo entourage) ha sposato una nuova filosofia. Basata su due criteri: a) la disponibilità di chi entra a far parte del gruppo ad accettare le regole comportamentali interne; b) le capacità tecniche di adattarsi al modulo di gioco e semmai migliorarlo sul piano qualitativo. Si spiegano così alcuni tagli eccellenti (e non) nel corso del triennio. Dalle cessioni di Quagliarella e Cigarini, alle bocciature di Datolo, Ruiz, Hoffer, Yebda, Sosa, Dumitru; fino alle rinunce a Denis, Pazienza e Rinaudo, ai fogli di via per Mascara e Santana. Tra questi c’era chi non accettava un ruolo di comprimario, chi non aveva saputo inserirsi nel disegno tattico, chi avanzava pretese di ingaggio fuori della portata e chi è risultato inadeguato. E così nell’arco del triennio, pochi dei nuovi arrivati sono riusciti a conquistare la stima del tecnico e della società per cui si è reso necessario rinnovare di volta in volta l’organico, soprattutto per quanto riguarda le seconde linee. Evidentemente si è voluto anche procedere con un budget limitato, optando per soluzioni-tampone, altrimenti oggi il Napoli si sarebbe trovato con una panchina già bella e pronta per offrire ricambi all’altezza. Qualcosa è cambiato l’estate scorsa allorchè si è proceduto investendo circa quaranta milioni di euro per non sfigurare in Champions. Sta di fatto che se da un lato, non è stato possibile far maturare alcun giovane per la prima squadra, dall’altro va dato merito all’allenatore di aver migliorato alcuni elementi (quali Zuniga) e fatto crescere autostima ed affiatamento nello spogliatoio.
IL GRUPPO- Il primo pensiero di Mazzarri è stato quello di formare uno spogliatoio compatto e resistente agli urti esterni. Poi, ha proceduto con un addestramento tattico mirato, capace di reggere confronti sempre più impegnativi, e tale da acquistare l’elasticità indispensabile per passare da uno schema all’altro con la stessa naturalezza. Per ottenere ciò ha dovuto insistere sullo stesso blocco di calciatori, ricevendo risposte straordinarie da alcuni fedelissimi (Aronica, Campagnaro, Cannavaro e Maggio), dagli stranieri (Lavezzi, Hamsik, Gargano) fino a qualificarsi contro ogni pronostico nel girone di Champions. Ecco perché domani contro il Bologna scenderanno in campo otto-undicesimi della formazione schierata tre anni fa. E’ il segnale di una lodevole continuità tecnica anche se è arrivato il momento di pensare anche al futuro e l’acquisto di Vargas rappresenta solo il primo passo avanti, nell’attesa di altri giovani di sicura prospettiva.
Fonte: Corriere dello Sport
La Redazione
A.S.
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