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Il segreto di Mazzarri è il saper comunicare con la squadra

L'attaccamento al lavoro del mister è determinante per i risultati ottenuti in questi anni

Ha sempre riconosciuto di non essere un fulmine nella comunicazione. Ma solo per l’immagine che riesce a dare di sè attraverso i media (anche se negli ultimi tempi è migliorato anche in quello). Nel suo lavoro, invece, Walter Mazzarri sa comunicare, eccome. Anzi va persino fiero del rapporto che riesce a stabilire con i calciatori. «Ancora oggi ci sono calciatori che nel passato erano stati alle mie dipendenze che telefonano o mandano sms di congratulazioni. Ed il risvolto interessante è che alcuni di questi neanche giocavano titolari», confessa.
Sa quando è il momento di alzare la voce e quando è il caso di distribuire una pacca sulla spalla. Un equilibrio che gli appartiene fin da ragazzo e che negli anni ha trasferito nel suo campo lavorativo. Reagire nei momenti difficili, avere il senso della misura in quelli esaltanti. A parole sembra un giochino semplice, nei fatti, invece, è molto più complicato. «Sono comportamenti che si hanno dentro, non s’imparano – osservò tempo fa – Al corso di Coverciano c’è una frase che ricorre spesso: “L’allenatore è un uomo solo“. Io lo sono sempre stato ed ho sempre nutrito un forte senso di giustizia. Nella vita può nuocere, nello spogliatoio ti rende autorevole».Al forum organizzato al nostro giornale l’allenatore del Napoli ha tenuto a ribadire:«Preferisco prevenire piuttosto che curare: colloqui quotidiani con i ragazzi, anche ripetuti. Quel giorno che Gargano rientrò in ritardo dallo spogliatoio, in campo ci è andato Dzemaili. Ma poi la mattina seguente ne abbiamo parlato tutti assieme nello spogliatoio». Ma il colloquio diretto e genuino con i calciatori è alla base del lavoro giornaliero del tecnico. Mazzarri si fece ampliare apposta il suo spogliatoio. E’ lì che a volte che confessa il singolo che vede giù di corda. O anche sul campo. Ed è lì che parla in continuazione con i suoi collaboratori. Una stanza neanche così grande ma è il laboratorio dove è stato partorito il Napoli sfrontato della Champions o quello che sfida a viso aperto la Juve che ha già battuto una volta ( in finale di Coppa Italia) e che stava per battere in Supercoppa.

DIRITTI E DOVERI – Mazzarri è diventato un maestro nella gestione del gruppo. E questo grazie al suo carattere; a quella maniera di coinvolgere tutti nel lavoro, dai calciatori, ai magazzinieri; all’autorevolezza con cui si districa nei momenti più critici; alla coerenza con cui effettua le scelte tecniche. Per il tecnico di San Vincenzo la parola «rispetto» è sacra. Rispetto per tutti, indistintamente: dai dirigenti, ai compagni di squadra; dall’allenatore ai magazzinieri. Ecco perchè dovunque abbia allenato, Mazzarri ha lasciato tracce indelebili. Ha saputo creare gruppi solidi, improntati alla stima reciproca, ligi al dovere perchè poi per i diritti ci pensa lui. Da vero leader. Ma guai a sgarrare nei comportamenti. Quando arrivò sulla panchina del Napoli promise che sarebbe diventato il garante di tutto ed in compenso chiese di provare a dare un’anima alla squadra. «Per qualsiasi problema, anche familiare ci sono qua io. Il mio cellulare per ognuno di voi è sempre acceso, anche di notte. Chiamate, confidatevi pure, in me troverete un fratello maggiore», riferì in uno dei suoi primi discorsi tra quelle pareti dove spesso si nascondono malumori oppure situazioni extracalcistiche che si riflettono in campo.
IL DIALOGO – Per un periodo, a Genova, l’avevano soprannominato anche «Lone wolf», il lupo solitario. Solo perchè ama stare da solo lontano dal campo di allenamento. Con i suoi allievi, e con i collaboratori, invece, è affabile, sincero, disponibile. Arriva a trascurare la sua famiglia pur di dare tutto sul lavoro. Ed ora sta cominciando a diventare anche più diplomatico con il mondo dei media. Mazzarri si è completato insieme con il Napoli perchè per lui ogni esperienza aiuta a migliorare e perfezionarsi. L’umiltà, il sacrificio, l’attaccamento al lavoro, principi che gli sono stati trasmessi da papà Alberto (scomparso anni fa) e mamma Edda: doveva svegliarsi all’alba per dare una mano nel panificio anche se era già il capitano della Fiorentina Primavera.
Fonte: Corriere dello Sport
La Redazione
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