Il tormento, l’estasi: e in quelle ventiquattro ore c’è una vita da sfogliare, le emozioni che scuotono, lacrime che sommergono l’anima. Ricordi, Edy? Cinque anni raccolti in un fazzoletto, in una vigilia eterna, assai più lunga del tempo attraversato da un venerdì toccante a un sabato vibrante, una processione interminabile di amici e di tifosi spuntati dal nulla, pardon dalla memoria di ciò ch’è stato. Napoli-Lazio è il calcio del bel tempo che fu, l’idea romantica d’un mondo che vive di sentimenti autentici e che non deve nasconderli e li concentra in quel gentiluomo che per un quinquennio tante ne ha viste e tante ne ha sentite, viaggiando però sempre oltre il perimetro d’un rettangolo di gioco, volando alto, in un affetto collettivo riscoperto a posteriori.
LA MANO SUL CUORE – La scena madre di un week end indimenticabile è semplicemente l’epilogo d’un romanzo scritte con le ottantantamila mani di uno stadio che, mentre Napoli-Lazio sta per chiedere spazio, si isola e aspetta l’ingresso di Edy Reja per riconoscergli – ancora una volta, se possibile in maniera più tangibile del 3 aprile scorso – l’applauso scrosciante d’uno stadio intero che scongela lo zio, incredulo per tutto ciò, disperso tra i mille pensieri che ad un certo punto spingono un pugno sul cuore: chissà se Livia, sua moglie, pure stavolta abbia finito per spegnere il televisore; e chissà se Elisabetta, sua figlia, sia stata invece a divorare le immagini della gratificazione.
CADEAU – Vabbè, Napoli e Lazio sono lì, ormai prossime a sfidarsi, però prima che lo spettacolo cominci trascinando nei gorghi dell’agonismo, della competizione, ad Agnano c’è un fiumiciattolo di persone che aspetta per stringere la mano, per consegnare una personalissima maglia celebrativa («dalla serie C alla serie A, solo tu ce la potevi fa»), per regalare un attimo di riconoscenza a Reja, e con lui semplicemente rivivere la cavalcata dal blitz a Padova contro il Cittadella sino a Genova, infilandoci l’amarezza della finale play off ad Avellino. E poi, di corsa, in quella gimkana, la qualificazione in Intertoto, la beffa di Lisbona, sino al divorzio, quello strappo dolorosissimo d’una domenica sbagliata. Pure quella volta Napoli-Lazio, ma intrisa di rabbia.
REVIVAL – E’ una notte specialissima, in cui il senso di solidarietà emerge dalle curve che sono vicine al popolo genevose, e in cui il passato (calcistico) che ritorna si spinge al di là d’una generazione, sfonda sino alla fine degli anni ‘90 e ripropone figure dimenticate: Caio Ribeiro Decoussau, nella sua arte minimalista di quell’epoca semplicemente Caio, si infila in quel santuario frequentato per una ventina di settimane con lo sguardo smarrito, pietrificato dall’euforia ritrovata d’una città piombata nell’oblio. Gli capitò l’anticamera del Fallimento, sfiorò l’erba d’una cattedrale enorme per i suoi mezzi da profeta, poi tornò a casa, in Brasile. E ora che rete Globo l’ha rispedito nella sua giovinezza, c’è qualcosa da raccontare, se non se stesso: «E’ sempre bello tornare qui, si vivono momenti particolari. E’ chiaro che ho tifato Napoli, perché questa è stata una mia squadra, perché ho avuto modo di ricordare una mia rete in coppa Italia proprio alla Lazio, perché mi è stato concesso di rivedermi ragazzo. Sono felice per i successi di questi ragazzi, li seguo. E se dovessi segnalare un calciatore a De Laurentiis, non ci penserei due volte: prenda Lucas. Lui più di Casemiro».
Ma è la notte di Reja: e mentre si sta per partire, pallone ormai al centro e Rizzoli con il fischietto tra le labbra, la tensione non s’è ancora impossessata di Mazzarri che di slancio va verso il predecessore, lo stringe a sé e ne coglie i brividi creati da quell’urlo. «Edy, Edy». Domani sarà un altro giorno, ma questo rimane bellissimo.
La Redazione
A.S.
Fonte: Corriere dello Sport
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