IL NUMERO UNO. Ma Praga resta nella testa di Rafael come la gara della svolta, quella che lo ha ricondotto (in certi momenti) a Swansea, quella che gli ha consentito completamente di riscattarsi con due prodezze ed una prestazione rassicurante: «Io ho sempre avvertito la fiducia dei compagni, della società e dell’allenatore; ma io anche una carriera alle spalle che mi ha formato». L’uscita è sicura, mani alte e presa fiera di se stesso, di ciò che sa, di quello che vuole: il passato è un’ombra lunga (quella di Reina, fascinoso come pochi nel suo ruolo) ma è ormai alle spalle, come l’infortunio di Swansea, come qualche incertezza (tipo Bilbao) che gli è costata parecchio, come quello infortunio che gli ha tolto non solo cinque mesi di campo ma anche un bel po’ di certezze, ricomparse all’improvviso a Praga, al freddo e al gelo. «Ma io penso alla squadra ed al risultato: volevamo vincere, non è stato possibile perché in campo ci sono pure gli avversari e le condizioni della serata non lo hanno consentito. Ma siamo soddisfatti del risultato e pensiamo, contiamo, di passare il turno da primi».
CHE CARATTERE. Minuto sedici di Sparta Praga-Napoli, forse è quello il momento clou della stagione di Rafael; o forse il 30’ della ripresa, quando con le dita devia la randellata maligna che potrebbe rivoltargli l’umore. E comunque è una nottata che rimane, non solo nelle due parate, ma nell’autorevolezza mostrata in campo e soprattutto fuori, quando emerge lo spessore d’un uomo che è abituato a vivere da solo: «Siamo tutti mentalmente forti in questo Napoli e bisogna esserlo per forza se vuoi indossare questa maglia». Che forse ora pesa un po’ di meno….
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