Sembrava di volare, per poi precipitare. La notte di Kiev è arrivata come un incubo per il Napoli che si era illuso di decollare da Capodichino per Varsavia, sorvolando beatamente i cieli dell’Ucraina. Un errore gravissimo di sottovalutazione, ancor più se commesso da un allenatore esperto come Rafa Benitez. Gli avversari non si suddividono tra quelli da snobbare e quelli per i quali valga la pena impegnarsi, la schedatura è molto più banale e veritiera: gli avversari sono tutti uguali, perché ognuno di loro farà di tutto per portare via i tre punti in palio. E allora rieccoci qua, col culo a terra per un tonfo diventato frastuono a causa dell’alta quota nella quale il Napoli aveva deciso di rimanere, pur sapendo di essere a corto di carburante per i troppi chilometri percorsi. E’ stata sufficiente una turbolenza minima, una squadra chiamata Dnipro per farci cadere in picchiata e svelare tutti quanti i nostri limiti, quelli che invece credevamo fossero qualità. Sembrava fosse sicurezza nei nostri mezzi, invece era solo presunzione. Quell’incomprensibile senso di superiorità che ci aveva costretto a concedere 27 punti alle formazioni che in serie A vanno dall’undecimo al ventesimo posto e che “ci può stare” l’errore dell’arbitro o che il calcio italiano sia di “m…”, ma mai e poi mai si è elevato un mea culpa di Rafa Benitez. Sempre più rubizzo in volto, segnale evidente della compressione interna di chi vorrebbe esplodere. Sarà cosa buona e giusta dare corso alle parole di De Laurentiis, mai come quest’anno interventista alla luce dello scollamento che da troppo tempo emerge all’interno di un gruppo diventato pentola a pressione. Per quieto vivere non è stato ripristinato il ritiro punitivo, segno evidente che il presidente voglia confidare nella professionalità dei calciatori ai quali è stato garantito il premio Champions pur conquistando il terzo posto. La vil pecunia per raffreddare la temperatura di uno spogliatoio diventato pentola a pressione: sarà sufficiente per il miracolo di fine maggio? Si può fare, purchè il Napoli dopo le chiappe metta anche e soprattutto i piedi a terra. L’umiltà è l’arma per l’insperato traguardo, “uno per tutti” da celebrare nonostante certe insofferenze palesi o nascoste. Come la clamorosa ed esagerata sfuriata di Higuain a Parma, o l’espressione delusa di Hamsik seduto in panchina a Kiev, oppure Zapata spedito in Tribuna senza una spiegazione su questa scelta suicida per una gara importante come può esserlo una semifinale di Europa League. E che dire della qualità del gioco? Il fantomatico e mai visto Tiqui Taka è diventato qualcosa che non ha né forma e né nome: il gioco del Napoli passa attraverso il lancio lungo dal piede del difensore centrale oppure con il cross degli esterni nelle aree di rigore sempre troppo affollate di difensori. Il gioco palla a terra, quello che serve per esaltare la qualità degli attaccanti azzurri, è stato disinnescato da chi ormai conosce a memoria il prevedibile sistema di gioco del Napoli. Ora, però, va tutto azzerato per il bene comune di un traguardo che potrebbe attutire il tonfo provocato da una stagione vissuta troppo pericolosamente dopo l’eliminazione precoce per mano del Bilbao ed un mercato estivo che aveva fatto meditare l’addio a Benitez. Con queste premesse è già tanto se ancora adesso si stia puntando ad un obiettivo comunque di prestigio come il terzo posto in serie A, l’ultima chance che ha Benitez per evitare che anche questa sua seconda esperienza italiana venga catalogata sotto la voce “fallimentare”.
Di Raffaele Auriemma per Tuttomercatoweb
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