Ha finito l’allenamento e ha lanciato il suo messaggio dal Popolo Napoletano: «Buongiorno, ieri grande vittoria, 2-0 contro una squadra difficile, speriamo di continuare su questa strada con umiltà » . Lo ha scritto su Twitter in due lingue: italiano e, ovviamente, spagnolo. La sintesi di Ezequiel Lavezzi su una notte Indimenticabile ma che non dovrà rimanere Unica perché, a questo punto, tutto è possibile a cominciare da quel che all’inizio, un minuto dopo il sorteggio di Nyon, appariva ai più impossibile: superare quello che Alex Ferguson, uno che di Champions se ne intende, ha definito: « Il girone della morte » . Lui, Ezequiel interpreta perfettamente l’anima del Napoli e, in buona misura, l’anima di Napoli. Da questo punto di vista lui è veramente «l’erede» di Maradona: questione di carattere, di personalità, di feeling con una tifoseria che ritmano oggi il coro «Po-Cho, Po-Cho» sulle stesse tonalità in cui ritmavano l’altro, «Die-Go, Die-Go».
GENEROSITA’ –Certo, la grandezza calcistica del Pibe è inarrivabile (persino Messi si avvicina ma non la eguaglia), però nel suo piccolo (anche fisicamente parlando, appena cinque centimetri in più rispetto a Diego) Ezequiel è l’essenza di questa squadra fatta di buoni giocatori, di ottime individualità, ma soprattutto di uno spirito collettivo che alimenta un feroce agonismo. Pocho lo vedi scattare e subito dopo arrancare stremato, infine risorgere umiliando sul breve un Gonzalo Rodriguez qualunque costringendolo al fallo da rigore, prendendogli un metro in una breve corsa di cinque: una Ferrari ( che lui ama ed esibisce) contro una Cinquecento. Sacrificio e creatività, sofferenza e determinazione: è il Napoli di questo terzo Millennio, è il Napoli in cui è la media alta delle prestazioni individualiche produce la straordinarietà della prestazione collettiva. Come avrebbe detto il sontuoso Principe De Curtis, in arte Totò:«E’ la somma che fa il totale».
Ezequiel ne è l’emblema.
RICONOSCIMENTI –Lo hanno capito persino i commentatori spagnoli. El Pais ieri mattina ha significativamente sottolineato:« Lavezzi smonta il Villareal ». Come ha detto Mazzarri:«Questi ragazzi danno tutto, in ogni partita».Il Pocho come gli altri, più degli altri. Arrivò a Napoli con due soprannomi ( il vero must del calcio argentino), uno poco rassicurante:«El loco», il pazzo. Evocava l’immagine di un calciatore genio e sregolatezza, semmai più sregolatezza che genio. Lui spiegò che non gli piaceva quel nomignolo, che preferiva l’altro, Pocho,« un vezzeggiativo affettuoso».E con le sue prestazioni ha convinto tutti che quello era il soprannome giusto: ha conquistato l’affetto dei napoletani, il loro cuore. Non poteva essere altrimenti. L’altra sera quando a pochi minuti dalla fine Mazzarri lo ha richiamato in panchina, stremato, il coro si è alzato assordante:un atto d’amore che si rinnovava. Maradona è inarrivabile, eppure lui è il volto più verace di questo Napoli.
TESTIMONE –D’altro canto, se così non fosse, mai il Divino Diego gli avrebbe proposto il passaggio del testimone sotto forma di numero sulla maglia.
«Ezequiel è un ragazzo speciale e un grande calciatore. Il Pocho deve giocare con la maglia numero 10 e non con quella numero 22», disse un anno fa il Pibe. E Lavezzi lo scorso gennaio raccontò:«Maradona mi ha detto di non aver paura a prendere la maglia numero 10».E’ un totem, quel numero: santifica la grandezza calcistica a dispetto di una numerazione extra-large che lo ha fatto finire anche su spalle improbabili, abusive. Il Pocho è calcio antico e moderno allo stesso tempo, emozione e resistenza fisica. Di lui Inler l’altra sera ha detto:«Dà sempre il massimo. E’ un animale, un grande giocatore».La Uefa lo ha eletto«uomo della partita ».Ha smontato il Villareal: a colpi di scatti, cross e giocate al limite dell’impossibile.
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