E poi Paolo ha abbracciato Cristina, ha stretto a sé Adrian, Manuel e Sofia e s’è lasciato andare: perché stavolta era finita, c’era la la luce che ne illuminava il volto alla fine del tunnel, e piangere non era un limite ma la rappresentazione umanissima d’un sentimento, la sintesi d’uno stato d’animo. La vita ricominciava – in quell’istante – a defluire nella sua normalità, mentre il volto era una maschera deformata dalla felicità travolgente per essere reimpossessato di se stesso, di un’esistenza infilata dal 18 dicembre in quel frullatore: «E’ stato un mese terribile, sono stato nell’inferno. E’ una liberazione, perché sono stato molto male e non dimenticherò mai ciò che ho avvertito in questo periodo. La gioia è immensa ma ho il dovere, in questo momento, di ringraziare tutti quelli che mi sono stati vicino: la Società, per quello che ha fatto; il mister ed i compagni che mi hanno confortato».
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