BERGAMO – Come si dice suicidio in spagnolo? Si scrive Bergamo (o più compiutamente Atalanta-Napoli) e però si legge Waterloo: perché in quel 3-0 così ridondante, per chi l’ha vinta e per chi l’ha perduta, c’è una verità evidente che appare in tutta la sua nudità ben prima che cominci una partita mai seriamente avviata da Benitez, afferrata al volo (con destrezza) da Colantuono, strapazzata in maniera sconcertante un po’ da Reina e parecchio da Dzemaili, Inler ed infine da Fernandez e mandata agli archivi con una serie di interrogativi che sono destinati a galleggiare in quell’azzurro tenebra che avvolge.
AUTOGOL – L’espressione più paradossale di quel 3-0 che premia l’umiltà dell’Atalanta è in quella sconcertante galleria degli orrori che il Napoli si concede in sequenza terrificante, una sorta d’autoflagellazione che viene avviata da Dzemaili e sigillata con la ceralacca da Fernandez affinché non ci sia più niente da fare: e quando ormai i titoli di coda stanno scivolando via, trascinando i resti di una formazione incollata con l’adesivo leggero, una sorta di cerottino, la constatazione dei danni prodotti da quegli sciagurati testa-coda partenopei, scatena uno choc che lascia il segno.
BRUTTO… – Un tempo per accorgersi che qualcosa va cambiata, che quella scelta di applicare una rotazione così furiosa (fuori Hamsik e Higuain rispetto al Chievo, Jorginho che con la Lazio si era distinto; dentro uno Zapata pallido, un Pandev blando) sta sciogliendo l’Atalanta, l’ha già fatta avanzare di una decina di metri rispetto alla prevista fase di contenimento «basso»: per 45’ minuti non c’è calcio, né orizzontale e né verticale, e per dileggiare ulteriormente il pomeriggio provvedono le curve, sparando petardi, costringendo Rizzoli a fermarsi e a chiedere di «avvisarle» attraverso l’altoparlante.
BRUTTISSIMO – Ma al peggio non c’è mai fine e il Napoli sceglie l’autolesionismo ad oltranza, proprio mentre invece dovrebbe trovare un guizzo per mascherare (con cambi immediati) la propria giornataccia: Dzemaili (4’) perde un pallone letale sulla trequarti ma sul destro di Denis l’intervento di Reina è da strapparsi i capelli (avendoceli), con opposizione inconsistente, pardon goffa.
Però non finisce qua, perché il copione prevede altre interpretazioni che, su campi amatoriali, farebbe sorridere: Inler vorrebbe liberare, certo, invece stavolta (avendo fallito nel primo tempo), riesce nell’improbabile tentativo di alzare una parabola invitante per Denis e per il 2-0. E se ancora non siete contenti, al resto pensa Fernandez: su una palla ch’è di comodità disarmante, incrocia le gambe, scivola all’indietro e porta con sé nel baratro psicologico il Napoli, tartassato dal 3-0 di Moralez.
LE CAUSE – Dopo un primo tempo in cui l’unico rimpianto per chiunque abbia scelto di andarsene allo stadio è la «pennichella» sprecata, i fatti (separati dall’opinione) raccontano poc’altro ancora: uno scontro Consigli-Yepes che manda il colombiano nello spogliatoio; poi scarabocchi napoletani qua e là, scatenati da suggestioni occasionali (13’: da Dzemaili a Callejon con Mertens che la butta fuori a porta spalancata) o reazioni personali (il destro di Higuain al 17’ deviato da Consigli), un Pandev (36’) addosso alla neanche tanto disperata uscita del portiere.
GRAZIE – I cadeau che piovono sono graditissimi dall’Atalanta, che senza avventurarsi in analisi ardite dà corpo al proprio, onesto e spartano copione, magari elementare però didatticamente apprezzabile: starsene «coperti», per evitare di concedere il campo agli esterni, per non consentire a Callejon e a Mertens – soprattutto a loro – di industriarsi con la loro velocità disarmante. Neppure Colantuono, nel suo ottimismo di giornata, avrebbe mai sospettato di ritrovarsi invece di fronte il peggior Napoli dell’era Benitez, disorientato ovunque, in campo (e in panchina), dal fantasma di sé stesso.
Fonte: Corriere dello Sport
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