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Il Parma batte due volte il Napoli, la vendetta silenziosa di Donadoni

Come ha esultato il Parma questa stavolta? Da cafone o da signore? Da provinciale o da cittadino? Sì, perché ai margini del pianeta calcio si è capaci di montare psicodrammi anche su questo. Giuseppe Marotta ne avrebbe riso di sicuro dall’alto della sua poesia crepuscolare, della sua visione della vita malinconica e verista. Ma di Giuseppe Marotta come questi in giro non se ne vedono più tanti. Eppure, qualche sorriso e un pizzico di tolleranza in più non farebbe male a questo calcio troppo spesso serioso, ruvido e rissoso. E, come ha raccontato qualche volta Donadoni, pure ipocrita e scontato fuori campo. Già, Donadoni, bergamasco un po’ tordoso, gran signore e allenatore pure lui un po’ crepuscolare. Uno che i sentimenti (quelli del pallone, si capisce) se li tiene dentro. Uno che non dirà mai a nessuno che incrociare e battere il Napoli di Aurelio De Laurentiis per lui non sarà mai come incontrare e battere qualsivoglia squadra di qualsivoglia altro presidente. Perché in quell’ottobre del 2009 i due non si lasciarono proprio in amicizia. «Lei capisce di calcio quanto io capisco di cinema», disse allora al presidente annusando in anticipo l’aria di un addio prematuro ma annunciato. Un esonero, scontato com’era, sul quale manco s’accettavano scommesse. Ma quella fu tutta un’altra storia. Tanto rapida e fugace che a Napoli c’è chi fa fatica addirittura a ricordare Donadoni sulla panchina azzurra. Eppure, furono proprio i suoi lunghi silenzi il tramite veloce tra le imprecazioni di Reja e le urla di Mazzarri. Un fantasma più che un ex. E come un fantasma ieri sera ha fatto paura al signor Benitez, poeta ironico del calcio. Uno della scuola di Miguel de Cervantes, il papà di don Chisciotte. Sì, gli ha fatto paura e l’ha messo sotto. E questo perché il Napoli contro i suoi mulini a vento non ha portato neppure la metà delle idee riservate sette giorni prima alla battaglia contro i mulini bianconeri e un quarto di quella velocità e di quella stessa voglia di successo. Come se all’improvviso – e nonostante l’avvicinamento pomeridiano della Fiorentina – il Napoli e Benitez coi suoi donchisciotteschi cambi, avesse deciso che ormai il campionato è già deciso e che d’ora in avanti conta solo la finale della coppa Italia e, per chi ci andrà, la eccitante vetrina del Mondiale. Intendiamoci: forse è vero che là sopra le sentenze sono già pubblicate, ma un calcio accidioso non è da grande squadra. E allora, gloria al Parma rinato dopo le sconfitte, certo, ma Bergonzi a parte e dopo il gran successo sulla Juve leggere la partita degli azzurri contro Donadoni è stato un po’ come rileggere «Splendori e miserie del gioco del calcio». Fu in quelle righe, infatti, che don Eduardo Galeano si paragonò a un mendicante del bel calcio che andava per stadi con un cappello in mano chiedendo a tutti: «Una bella giocata, per amor di Dio».

Fonte: Ciccio Marolda per il Corriere dello Sport

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