Il calcio e anche il basket, la pallavolo e le Federazioni e le Leghe: lo sport visto da dentro, attraversato in lungo e in largo, studiato e analizzato con gli occhi e la testa del manager, prima di approdare alla Coni servizi come direttore generale. Il calcio «radiografato» a trecentosessanta gradi da Michele Uva, dopo averlo osservato dall’interno (al Parma e alla Lazio, in Figc e in Lega) e studiandolo ora che viene portato all’estero per creare brand.
Michele Uva, viaggiare conviene?
«Assolutamente sì, soprattutto se la tournée è accompagnata da un percorso strategico generale. Per l’evoluzione commerciale è indispensabile questo tipo di scelta, l’unica che paghi in termini economici e promozionali. E comunque, val la pena di andare all’estero persino se le amichevoli sono fini a se stesse e portano benefici minori».
I mercati sono l’Asia e l’America.
«La prima più della seconda. Per questioni demografiche, come si potrà intuire, ma è anche per un appeal che è più sviluppato in Cina, ad esempio, che in America, dove esistono culture sportive diverse. L’Europa è invece ormai satura e poi non concede molti spazi: forse l’eccezione è proprio il Napoli, che ha tifosi ovunque».
Il volano per diffondere il marchio è la tv.
«Ma anche la tournée, che crea empatia tra la gente, scatena emozioni. E’ chiaro che nelle case si entra in maniera prepotente con la televisione, ma lo spettacolo va creato, poi alimentato. E per far ciò, è necessario portare il calcio e le squadre a giocare da loro. Ma il lavoro ha bisogno di altro: di un fattore congiunto che è rappresentato dal consolidamento centrale attraverso una Lega forte. Il messaggio che arriva dalla Premier e dalla Bundesliga va colto: qui marchi sono forze non sono commerciali».
La pensa alla De Laurentiis?
«Che ritengo tra i presidenti più innovatori. Ha portato nel calcio la sua visione del manager cinematografico e, pure attraverso il Napoli, ha modificato abitudini e persino costumi. Bisogna sapere imparare dagli altri e in Inghilterra ed in Germania hanno costruito attraverso le idee: noi qualche passo in avanti l’abbiamo fatto, ma ci sono margini d’intervento e di miglioramento da scovare».
La Supercoppa a Pechino è una speranzella…
«Utile per aprire la porta. Però adesso serve andare oltre l’uscio e bisogna sviluppare il progetto».
«Assolutamente sì, soprattutto se la tournée è accompagnata da un percorso strategico generale. Per l’evoluzione commerciale è indispensabile questo tipo di scelta, l’unica che paghi in termini economici e promozionali. E comunque, val la pena di andare all’estero persino se le amichevoli sono fini a se stesse e portano benefici minori».
I mercati sono l’Asia e l’America.
«La prima più della seconda. Per questioni demografiche, come si potrà intuire, ma è anche per un appeal che è più sviluppato in Cina, ad esempio, che in America, dove esistono culture sportive diverse. L’Europa è invece ormai satura e poi non concede molti spazi: forse l’eccezione è proprio il Napoli, che ha tifosi ovunque».
Il volano per diffondere il marchio è la tv.
«Ma anche la tournée, che crea empatia tra la gente, scatena emozioni. E’ chiaro che nelle case si entra in maniera prepotente con la televisione, ma lo spettacolo va creato, poi alimentato. E per far ciò, è necessario portare il calcio e le squadre a giocare da loro. Ma il lavoro ha bisogno di altro: di un fattore congiunto che è rappresentato dal consolidamento centrale attraverso una Lega forte. Il messaggio che arriva dalla Premier e dalla Bundesliga va colto: qui marchi sono forze non sono commerciali».
La pensa alla De Laurentiis?
«Che ritengo tra i presidenti più innovatori. Ha portato nel calcio la sua visione del manager cinematografico e, pure attraverso il Napoli, ha modificato abitudini e persino costumi. Bisogna sapere imparare dagli altri e in Inghilterra ed in Germania hanno costruito attraverso le idee: noi qualche passo in avanti l’abbiamo fatto, ma ci sono margini d’intervento e di miglioramento da scovare».
La Supercoppa a Pechino è una speranzella…
«Utile per aprire la porta. Però adesso serve andare oltre l’uscio e bisogna sviluppare il progetto».
Fonte: Coriere dello Sport
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