Massimo Corcione per “Il Mattino”:
“Ci eravamo illusi che a noi non potesse mai capitare: in Italia non sarebbe potuto accadere che un ragazzo di 26 anni morisse sul campo, tradito dal proprio corpo. Non sarebbe dovuto succedere che Piermario Morosini fermasse così il proprio cammino, giocando Pescara-Livorno in un sabato di aprile. Quando, attraverso la tivù, le immagini del dramma di Fabrice Muamba invasero le nostre case, i medici italiani ci avevano rassicurato: i controlli sui calciatori dei nostri campionati professionistici non lasciano spazio al dubbio. Chi scende in campo è perfettamente sano, ogni sei mesi i controlli sono totali, al minimo sospetto arriva lo stop: così ci era stato garantito, mentre in un ospedale inglese il ragazzo arrivato dal Congo alla Premier League recuperava miracolosamente la propria vita interrotta per 78 interminabili minuti. E anche quando un gigante di nome Vigor Bovolenta crollò sul parquet di un campionato periferico di pallavolo si tirò in ballo l’età: quando vedi approssimarsi la soglia dei 40 anni devi dare una svolta alla tua esistenza e quella svolta passa lontano dallo sport agonistico.
Ora che Piermario Morosini è uscito definitivamente di scena, caduto sul terreno di gioco, qualche dubbio cominciamo ad averlo. La causa della morte verrà accertata solo dall’autopsia, glaciale rito che dispenserà un verdetto inappellabile. Ieri abbiamo visto sfilare decine di medici, ciascuno con la propria interpretazione clinica resa sulle immagini dell’improvvisa caduta e dei disperati tentativi di rimettersi in piedi. Il professor Carù, un cardiologo che aveva scoperto un difetto congenito nel cuore del nigeriano Kanu di fatto negandolo all’Inter e alla serie A, ha avanzato la tesi che possa essersi trattato di un aneurisma cerebrale, impossibile da prevedere e impossibile da fronteggiare quando si manifesta. Una fatalità, dunque, alla quale non riusciamo a rassegnarci. E così mille ombre oscurano la nostra vista: perché quell’auto della polizia municipale era parcheggiata sul passo carraio, impedendo il pronto ingresso dell’autoambulanza? Sono stati pochi lunghissimi secondi – 166 per la precisione – che hanno trasferito il terrore dalle facce dei giocatori a quelle degli spettatori, creando una partecipazione collettiva alla tragedia in corso. Oppure: possibile che le morti familiari che avevano trasformato la vita di Piermario Morosini in una via crucis non fossero indizi degni di approfondimento medico? Sicuro che nessun nesso possa esserci con questa fine arrivata con troppo anticipo?
Mille domande per trovare, forse, nessuna risposta. Eppure le certezze sono indispensabili per noi che viviamo di calcio, per noi che soffriamo per il calcio, ma che non possiamo accettare che si possa morire di calcio”.
Fonte: Il Mattino
La Redazione
P.S.
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