Famolo strano: e così, proprio all’alba del campionato e al tramonto di Genoa-Napoli, Jonathan De Guzman ha scelto il modo più complesso per intrufolarsi nel futuro. Il gol che non t’aspetti, nell’attesa del Pipita, ha le forme più variegate e modalità disparate: però al novantacinquesimo o giù di lì, su una palla comoda da leggere, mica penso che all’improvviso possa proprio irrompere il penultimo arrivato e domare quella traiettoria un po’ sbilenca e palleggiare sotto al naso di Perin e poi poggiarla in porta per il delirio collettivo? Più strano di così, insomma, non si poteva fare, anche perché – riattraversando quelle ore – nella testa (nelle lacrime?) di chi al San Mamés ci ha lasciato l’euforia e l’allegria, c’era ormai ben altro. Il calcio è un’emozione che si scatena senza preavviso, talvolta, e nelle undici reti che hanno stretto il Napoli come in un abbraccio c’è così poca normalità: perché eccezionale è stata la ciabattata di Hamsik a Bilbao, quella perfida illusione racchiusa in una traiettoria sbilenca, non la rasoiata o la conclusione collo-interno, ma una saponetta viscida lanciata sull’erba con traiettoria insolita. Ed è arrivata dopo due anni di digiuno d’un Marekiaro che va ancora cercando se stesso. E per rompere poi il ghiaccio, o pensare di averlo fatto, c’è poi voluto l’inaspettato Mertens, uno che alla doppiette non ha abituato: pum, pam e Sparta Praga spazzato via, proprio nell’incedere della crisetta, che invece era lì, latente, polvere nascosta sotto al tappetino.
Il gol è stato, rimane, la ricerca perenne dell’estasi e centoquattro volte il Napoli s’è perduto l’anno scorso in quell’ebbrezza che ha esaltato la versione verticale d’una squadra capace di correre sempre in avanti, per cercare orizzonti nuovi e concedersi sfide più ambiziose: poi all’improvviso s’è spenta la luce, così, quasi senza un perché, e tutto però va ricondotto al San Mamés, avendo percezione chiunque ch’esiste la psicologia pure tra queste statue di muscoli che offrono sogni. Il gol del Napoli, ora, è un’occasione un po’ stramba come lo stacco perentorio di Kalidou Koulibaly, capace di arrivare in cielo nell’area del Palermo e poi di starsene, cinque minuti dopo, con la testa tra le nuvole quando c’è da opporsi al nemico. Ma, per dire, pure Zapata che va a calciare con il giro, nei sedici metri, addobbando d’«intelletto» la sua prepotenza fisica rientra nella categoria del «famolo strano». Adesso va di moda così, forse.
Fonte: Corriere dello Sport
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