Prima di tutto i numeri che hanno descritto i quarantadue giorni di buio napoletano fra febbraio e marzo: zero vittorie, tre sconfitte e due sole reti segnate in sette uscite ufficiali per la squadra; otto partite di astinenza dal gol per Cavani e cinque mesi e mezzo per Pandev; infine, dato peggiore, sette punti recuperati dal Milan nella corsa al secondo posto. In una sola partita, tutte queste rotte sono state invertite, e non a caso la vittoria è giunta solo dopo un’enorme sofferenza.
La gara in verità si era messa subito in discesa per il Napoli: pronti-via, Giorgi atterra Zuniga al limite dell’area e Cavani trasforma il rigore, lasciando esplodere un personale sfogo liberatorio insieme a quello collettivo del “San Paolo”. Galvanizzato, Edinson si è messo a correre, come suo solito, per tutto il campo, recuperando palle in difesa. Ma l’Atalanta ha reagito e per dieci minuti ha cercato immediatamente il pari, per poter riproporre un’ovvia strategia di contenimento e contropiede. A sua volta il Napoli ha sfruttato gli spazi concessi dai nerazzurri, per poi passare di fatto a condurre la partita, imponendo tasso tecnico maggiore e fattore-campo. Hamsik era finalmente di nuovo ispirato, e fra il 15′ e il 20′ ha regalato invano due assist magici sui piedi di Cavani e Pandev, fallendo poi egli stesso, di testa, una terza occasione ghiottissima. Anche Pandev sembrava in vena, sulla trequarti funzionava tutto a dovere, mentre il solo Maggio sbagliava un’infinità di cross come troppo spesso gli accade ultimamente, sparando palloni sulle schiene dei suoi marcatori o cercando improbabili filtranti bassi, facili prede dei portieri.
Fatto sta che le manovre centrali del Napoli hanno prodotto in venticinque minuti almeno cinque o sei palle-gol limpide, tutte fallite, anche con una certa sfortuna. E la legge del calcio, si sa, è dura: l’Atalanta ha provato a riaffacciarsi per una volta nella metà campo azzurra, Carmona (ancora lui) è scappato sulla fascia e ha messo in mezzo un pallone d’oro su cui Bonaventura è inciampato goffamente, ma il rimpallo di tacco ha colpito Cannavaro e ha lasciato finire la palla in rete. Così gli ospiti si sono ritrovati sull’1-1 senza praticamente mai tirare in porta (poco dopo, ancora Carmona ha preso una traversa ma da tiro piazzato), chiudendo così il primo tempo in parità.
La ripresa è ricominciata con un’Atalanta più chiusa e un Napoli ancora più sfortunato: ad un certo punto non si contavano più le occasioni sprecate e le reti sfiorate e mancate di un niente. Colantuono si è accorto dell’andamento e ha pensato di sbarrare qualche altra porta, togliendo Giorgi e mettendo Canini. Cambio che invitava a nozze Mazzarri, che ha sì tolto Gamberini ma ha scelto Armero e non Insigne. Scelta un po’ strana, ma tant’è: dopo pochi minuti, pur senza lo zampino di Armero, Cavani si ritrova in area un pallone mal controllato da Pandev, e con una magia mette dentro il 2-1. A quel punto riparte il copione del primo tempo: due, tre, quattro opportunità per chiudere i conti, e niente. E così è arrivato puntuale anche il secondo castigo: lancio lungo per Denis, grande aggancio, Behrami sbatte su De Sanctis (strana l’uscita del portiere) e l’ex eccellente mette dentro comodamente il 2-2. Tutto da rifare. Nonostante un computo di tiri in porta a dir poco sbilanciato.
A questo punto, serviva una prova di carattere. Mazzarri ha caricato i suoi e ha messo dentro Insigne per un Maggio troppo impreciso e innocuo. La squadra ci ha creduto, ha continuato ad assediare i bergamaschi, ce l’ha messa tutta, pur costruendo azioni talvolta ancora troppo caotiche e poco incisive. E a furia di insistere, stavolta proprio dai piedi di Armero è arrivato il cross basso che Pandev ha dovuto soltanto spingere in porta, per un en plein di sortilegi spezzati: anche il macedone è tornato ad assaporare la gioia dell’esultanza dopo più di cinque mesi. Pertanto, le lamentele di Mazzarri contro la malasorte (mai legittime come oggi, molto meno nei precedenti dopo-partita) adesso possono placarsi, perché se si crede ai segni, allora la domenica odierna ha dato un bel po’ di segnali incoraggianti. C’è da rimboccarsi le maniche, perché ci sono ancora diversi problemi: la scarsa efficacia di Maggio, le amnesie della difesa (De Sanctis compreso), scarsa qualità del gioco corale e poca corsa senza palla ad aiutare i portatori. Ma bisogna ripartire da qui, con fiducia, almeno per tenersi dietro il Milan e aggrapparsi a questo secondo posto da Champions diretta.
A cura di Lorenzo Licciardi
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