E così, quasi senza accorgersene, se n’è andato (circa) un decennio: la penombra dello scantinato del calcio italiano è sepolta negli angoli sperduti della memoria e le luci della ribalta che si sono accese riconsegnano un ampio respiro internazionale. Rafa Benitez atterra in quella Napoli ricostruita nell’era De Laurentiis (dalle macerie) con il luccicante carico di trionfi, gli scudetti e le coppe, ed un’autorevolezza declamata a gran voce dalla propria storia professionale, da un medagliere che non ha confini, da una sobrietà utilizzata per rappresentare, a modo suo, il contropotere – tanto in Spagna quanto nella Gran Bretagna vissuta con il Liverpool – e infine sfruttata per domare Stamford Bridge, sedotto da Mourinho ed a lui affettuosamente devoto.
Il più speciale dei normal one è l’architetto scelto da De Laurentiis, Bigon e Chiavelli per completare quel progetto ormai arrivato all’ultimo step ed in quel progetto in cui sono racchiusi gli ulteriori sogni d’espansione ed un ruolo sempre più centrale in Italia e sempre maggiormente rappresentativo (pure) in Europa, la rifinitura è nella ricerca d’uomini impregnati di leadership, gli elementi-chiave per non imbattersi più nei difetti di gioventù (collettiva) che hanno in passato alimentato una serie di rimpianti.
Il Bayern Monaco ha dimostrato che si può essere competitivi su più fronti e nel suo piccolo c’è riuscito pure il Chelsea, che ha rimediato alla falsa partenza riafferrando la qualificazione in Champions e riuscendo poi a regalarsi pure il trionfo. Dunque, è possibile dar vitalità alla propria esistenza, evitando di contorcersi su se stessi e su quell’enigma che ha indotto per un paio d’anni a danzare tra campionato e coppe con l’equilibrismo del turn-over: dalla periferia del sogno all’estasi è un altro piccolissimo passo.
Fonte: Corriere dello Sport Antonio Giordano
La Redazione
A.S.
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