Cuore e batticuore: perché in questa vita non bisogna negarsi nulla, né l’emozione di sentirsi (per mezz’ora) nuovamente se stessi, né il pathos d’avvertire (ancora) quel vago senso di stordimento che si scopre standosene sul ciglio del burrone.
Cuore e batticuore: perché riemergere, uffa, è sofferenza allo stato puro e stavolta ch’è andata (come è andata) resta la sensazione che però così ci si fa anche del male, o almeno si rischia. Cuore e batticuore: e pare d’essere dinnanzi a due specchi, di qua il Napoli (noblesse oblige), di là il Sassuolo, per un’esistenza grama (ognuno per sé), talvolta dolorosa (per entrambe, pur con le differenze) e comunque nervosamente dispendiosa in un’ora e mezza da brividi che restituisce a Benitez la serenità perduta e trascina Di Francesco sull’orlo d’una crisi pericolosissima.
RINASCITA. Ma com’è dura prendersi una partita e portarsela a spasso, con la leggerezza d’una leader: Sassuolo 0, Napoli 1, però con dentro gl’ingredienti d’un minestrone fuori stagione, nel quale s’infila ogni materia prima e pure qualche residuo. Il Napoli che t’aspetti (finalmente) è ancora rimescolato, ha Gargano e David Lopez in mediana, ha Zuniga a destra che va a Britos a sinistra che copre, ha un Higuain filantropo e ha, ma sì, per una trentina di minuti, magari un tempo scarso, l’antica spensieratezza che consente di palleggiare nello stretto e a campo largo. Si parte e il Chievo, l’Udinese, infine il Palermo sembrano memorie del sottoscala, perché l’avvio è un fiorir d’iniziative, una squadra «corta», un flipper elettrizzante che (al 5’) manda in tilt il Sassuolo con una ripartenza fulminante sull’asse Higuain-Callejon depennato da Gazzola sulla linea. La sfida ch’è impari già sulla carta diventa improbabile – e quasi impossibile – nella fase ascendente, dominata dal Napoli, scarabocchiata dall’impatto del Sassuolo, poi «griffata» dal «solito» Callejon, al quale Higuain fa un regalone carico d’affetto (28’): un altro, quel pallone lì, l’avrebbe scaraventato nel mucchio, ma quell’«altro», ovviamente, non sarebbe stato el Pipita, un ballerino sul vertice sinistro dell’area che danza, «ignora» Acerbi, osserva e solo dopo aver scoperto che oltre la linea difensiva c’è un amico in soccorso, procede per suggerirgli il tap-in dello 0-1.
MA NO! Chissà perché mai si spenga la luce, nel Napoli: è la testa che non va, è la paura che compare all’improvviso ed inaridisce il cervello, è il terrore che si legge nella interpretazione ed a lasciare al Sassuolo più campo almeno per metter pressione, per buttar palloni nell’area. Succede che all’improvviso Albiol smetta di fare Albiol e svirgoli palloni, che i reparti si allontanino e la gara si capovolga almeno nelle emotività dei momenti. A volte un dettaglio può sorgere persino dal nulla e quando ormai s’è dissolta ogni certezza, il Napoli scopre la sua attuale condizione di precarietà psicologica: piovono palloni altrimenti governabili e l’incapacità di «chiuderla» prima ha lasciato al Sassuolo almeno la speranza (con dentro Pavoletti e anche un pizzico di «cattiveria» in più) di crederci.
PATHOS. E poi si sono sgonfiati Gargano e un pochino Zuniga, Higuain ha dovuto piegarsi alla legge del turn-over in corsa e Zapata non tiene un pallone là sopra: diviene assalto «nervoso» d’un Sassuolo disperato ma stavolta gli dei hanno scelto di restituire qualcosina a Benitez di quanto sottrattogli in passato: lo fanno (38’) sull’uscita ballerina di Rafael, che un Pavoletti reattivo sistema fuori la porta spalancata; lo rifanno (39’) sul tentativo di Peluso, sporcato da Zuniga e frantumatosi sulla traversa. E’ il batticuore che il Napoli si concede, è il cuore cui il Sassuolo s’affida, è una nottata che per Benitez non è ancora passata, però almeno va attraversata ben distante dalla tempesta superata. Però stavolta almeno c’è un filo d’aria per riuscire a respirare, a ragionare, a cercar di ritrovare il Napoli e per capire cosa sarà (ma pure del Sassuolo…).
Fonte: Corriere dello Sport
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