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Il Napoli resta un’incompiuta. Le fatiche europee si fanno sentire e con le “piccole” non riesce

LIVORNO – Come prima, più di prima: perché la (sana) provincia va di traverso e ora che il gioco si sta facendo seriamente duro, il Napoli scopre ch’è dura concedersi serenamente la Champions nonostante gli aiutini della Fiorentina e dell’ex Reja. Come prima, anzi più di prima: perché in quell’1-1 c’è un senso compiuto, c’è la speranza del Livorno, c’è un orizzonte che s’illumina e sa di salvezza. Quante volte, Rafa? Perseverare è diabolico: e dopo il Genoa (lunedì scorso), il Livorno, due partite e due pareggi, è una media che stride, che lascia il segno. Ma chissà quante volte Di Carlo ha sperato di riveder la luce: finisce 1-1 e sono rimpianti o anche fiducia.

MONOLOGO – Però, chi l’avrebbe detto? Perché il calcio è scienza terribilmente inesatta e la fotografia d’una verità stavolta, almeno stavolta, indiscutibile, è in quell’1-1 che trascina ad un tè dal retrogusto amarissimo per il Napoli e invece, ovviamente, dolcissimo per il Livorno. Per 45’, il monologo certifica la differenza indiscutibile e però le partite vanno non solo dominate ma pure sigillate, difetto di fabbrica d’una squadra alla quale Benitez vorrebbe concedere non solo equilibrio ma anche cinismo: cinque conclusioni in porta, una supremazia territoriale (e dunque di possesso palla), una permeabilità assoluta alle ripartenze altrui non bastano e ciò che appartiene al surreale, si realizza.

FLASH – Il Napoli è subito, sceglie (per dovere, per vocazione) di far la partita, incurante delle tossine della Europa League: il Livorno è accerchiato (magari con ritmi non proprio terrificanti) e ondeggia, trema (11’) sull’«autotraversa» di Mbaye, terrorizzato dalla verticalizzazione Pandev-Hamsik; è salvato da Bardi (13’: a terra su Mertens; 24’: ancora di posizione e sempre sul belga); e poi «miracolato» da una scelta coraggiosa di Emerson che ci mette la testa (25’) sulla perfida rasoiata di Callejon. Certe cose s’intuiscono e lo «scatto» di Pandev, sullo scellerato palleggio aereo di Mbaye, vale il rigore dello 0-1 di Mertens e una sfida (teoricamente) in discesa, sul punto dell’archiviazione con il contropiede di Callejon azzerato da un Bardi da applausi.

IL PAREGGIO – Ma ora non c’è sentore e il Livorno, che s’è spinto oltre la metà del nulla, ha il timore di sciogliersi da solo: però l’orgoglio esiste e le casualità servono per rendere imperfetti qualsiasi opera, grande o piccola che sia. Di Carlo altro non può fare che andare a ringhiare su chiunque, ha eretto la diga, ne tiene (pure) dieci al di qua del pallone; ma nell’unica circostanza in cui s’apre una falla, da Greco a Mesbah, traversone avvelenato e palla impazzita, che finisce tra Reina e Britos e poi sulle spalle del portiere che graffia se stesso e la sua autorevolezza con un intervento un po’ (un po’?) naif, buttandosela in porta.

LO SCONTRO – La disperazione aguzza l’ingegno, moltiplica le energie, ispira il pressing livornese su chiunque, restringe il campo di Jorginho – sistemato in una sorta di trappola tra Paulinho o Belfodil e Greco – toglie l’aria ad Hamsik con Benassi e però non riesce a limitare né un Mertens che ha gamba (e che gamba) né un Inler che ha brillantezza. Il resto è palleggio ad oltranza, sereno controllo d’una situazione che per il Napoli pare agevole e che invece è subdola.

SORPRESA – Il Livorno che esce dallo spogliatoio s’è rifatto il trucco, ci prova, magari in maniera velleitaria con Benassi e Greco, però dà consistenza, un po’ di peso, alla propria spinta; e il Napoli, invece, ne ha sempre di meno, avendo consumato se stesso tra giovedì e il primo tempo, perde lucidità, poi un pallone (14’) con Callejon che genera «l’inferno»: nella fiamme ci si tuffa prima Britos, per murare Belfodil, poi – dall’angolo – Reina, stavolta prodigioso (e fortunato) sulla conclusione più che ravvicinata di Paulinho. E’ un’altra partita, ora vibrante, non più piatta e sul colpo di testa di Hamsik (16’), c’è ancora il rassicurante Bardi, che s’affida al proprio protettore (17’) sul destro a girare di Mertens, fuori d’un capello e forse meno. La stessa distanza che (44’) separa il destro di Zapata, in scivolata, dinnanzi alla porta spalancata, sul cross di Mertens. La missione incompiuta di Benitez sa (quasi) di capolavoro per Di Carlo: ma il volatone comincia ora, Champions e salvezza sono oltre i tormenti e quel senso d’estasi.
Fonte: Corriere dello Sport

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