E’ un dato incredibile, ma è la verità: due giovani sudamericani, Lavezzi e Gargano, arrivavano nell’estate 2007 a Napoli e gradualmente si inserivano in un gruppo diventandone dei leader. In panchina c’era Reja, nascevano tanti concetti che poi Mazzarri ha ripreso, lavorando però su tanti aspetti, trasformandoli e migliorandoli. Il Napoli della difesa a tre prendeva piede nel primo anno di A, con Blasi a fare filtro davanti alla difesa e Gargano a mandare in crisi gli avversari percorrendo chilometri a partire dalla mediana. Il “Mota” creava un’intesa con Lavezzi che tornava a raccogliere palla all’altezza della trequarti e poi inventava.
Ricordo ancora Udinese-Napoli 0-5, la “summa” dell’esplosività del sistema di gioco messo in piedi dal tecnico della Lazio Reja e di un attacco che paradossalmente aveva meno qualità (non c’era Cavani) ma più armi a disposizione con Sosa, Calaiò e Zalayeta.
Lavezzi e Gargano erano i perni della squadra e lo sono ancora oggi; a distanza di quattro anni, nonostante Mazzarri lavori su una filosofia di gioco diversa, i leader sono ancora loro.
Il Napoli di Reja puntava più sul contenimento degli spazi e sulla costruzione dell’azione tramite il possesso palla, quello di Mazzarri si esprime negli schemi di un sistema di gioco che produce attraverso la corsa, l’intensità e con uno schieramento offensivo che non dà punti di riferimento. Ad accomunare però le due esperienze c’è la “dipendenza” da Gargano e Lavezzi.
Il Napoli non ha trovato sul mercato l’intensità, la corsa ed il dinamismo che offre il “Mota”. Sembrava finita la sua esperienza all’ombra del Vesuvio, a causa del calo di rendimento avuto nella scorsa stagione sembrava essere destinato a fare l’alternativa a Dzemaili. Lo svizzero non ha le caratteristiche di Gargano, è un discreto mediano, dotato di senso della posizione, ma che soffre ad interpretare la “filosofia” dell’uruguagio. Dzemaili aveva dimostrato dei progressi nell’esercitare le richieste di Mazzarri nella gara contro l’Udinese, dove curò in maniera ottimale entrambe le fasi. Nella sfida contro la Lazio invece si è dimostrato incapace di alzare il ritmo della manovra ed è stato surclassato da Ledesma, che ha vinto il duello sia dal punto di vista fisico che tecnico. Il Napoli nella prima frazione di gioco si è adeguato ai ritmi di Reja, ma nella ripresa gli uomini-chiave hanno deciso di dare una svolta; prima Lavezzi ha deciso di dare una svolta al match costruendo tre azioni da gol in un minuto e dando l’impressione a tutti i suoi compagni che la vittoria era a portata di mano. Il Pocho guidava gli azzurri e con l’ingresso di Gargano trovava anche la sua spalla dalle retrovie. Quando entra il “Mota” gli equilibri si trasformano, la squadra ma incredibilmente anche l’intero ambiente acquisisce un “animus pugnandi”, si crea una sorta di atmosfera magica; è incredibile l’apporto che riesce a dare l’uruguagio non solo in termini atletici ma anche riguardo alla carica trasmessa ai compagni.
Dzemaili naturalmente non va bocciato, i processi d’inserimento in un gruppo ed in un nuovo sistema di gioco sono sempre complicati e Mazzarri ha bisogno di tempo per calare lo svizzero in mansioni che nelle sue precedenti esperienze non ha svolto.
Mazzarri prepara la sfida contro il Manchester City, che può valere un piede e mezzo negli ottavi di finale di Champions League, pensando al Bayern Monaco. Infatti, la compagine di Mancini ha lo stesso limite dei bavaresi: i due centrali, Lescott e Kompany, che non hanno il passo di Lavezzi e Cavani e soffrono se attaccati in velocità. Sarà richiesto un grande lavoro ad Hamsik, che dovrà collegare più degli altri le due fasi. Dovrà esercitare il compito di primo disturbo ai portatori di palla del City e poi muoversi tra le linee per superare il muro posto da Yaya Tourè e compagni in mediana. Un altro duello importante sarà quello tra Maggio e Kolarov; la capacità di spingere dell’esterno azzurro servirà anche a limitare le proiezioni offensive dell’ex laziale.
Il Napoli deve affrontare questa sfida con l’approccio forte di chi sa che se va male non è successo nulla. Retrocedere in Europa League, battendosi con onore, nel girone della morte sarebbe comunque un risultato da applausi. Naturalmente una vittoria porterebbe gli azzurri quasi ad un traguardo storico, ma bisogna essere lucidi e non avere eccessive pretese.
Il Napoli ha l’obbligo di recuperare in campionato, in Champions deve sfruttare il valore della spensieratezza.
A cura di Ciro Troise
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