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Il Napoli di Benitez cambia la moda dei ritiri

CASTELVOLTURNO – Famolo strano: e tanto per sentirsi sempre più normale, Rafa Benitez ha rifatto qualcosa (calcisticamente) d’eccezionale. Casa, dolce casa: perché a questo punto della stagione, con gli aerei appena atterrati dai rispettivi tour previsti con le Nazionali, con il charter che sta per cominciare a far rullare motori che porteranno ovunque, tra campionato e Champions, con il destino che entra in gioco, cosa c’è di meglio che rompere il faticoso tran-tran mentale e offrire al Napoli (dunque a se stesso) un pizzico di serenità interiore? E’ una cura anti-stress, forse; o molto più semplicemente è un elisir per concedersi lunga vita, per scavalcare l’insidia della monotonia d’un ritiro lasciandosi tra i piedi i marmocchi (Reina ha quattro figli, Hamsik ne ha due) e godendoseli. Poi verrà il Parma, certo, e anche il Borussia Dortmund (e volendo una sfilza di appuntamenti da ondeggiare con la testa): però, calma e gesso, e dolcemente a cullarsi questa vigilia come un cittadino che può starsene largamente al di sopra di ogni sospetto.

TRANQUILLI – Cosa non si fa per vincere, verrebbe da dire: ma piuttosto che battere i sentieri ordinari, Rafa Benitez preferisce rifugiarsi in scelte che appiono straordinarie e che invece restano esclusivamente singolari. Perche starsene a Castelvolturno, affogando nelle proprie manie o magari offrendosi al video game, è esercizio noioso e persino un po’ stucchevole: cosa c’è di meglio delle pareti domestiche, d’una chiacchierata con la moglie, della ninnananna ai bambini; e quando sarà l’ora e mezza di Cassano, l’energia positiva e la concentrazione e la tensione verranno fuori istintivamente, non meccanicamente.

CI PENSO IO – Al resto, provvede Benitez, che ha scelto Castelvolturno come habitat naturale, che ha voluto – come a Londra, come a Liverpool, come ovunque – ritagliarsi un angolo della propria quotidianità tra televisori giganteschi attraverso i quali sbirciare il “nemico” e cercarne i punti deboli (ma anche quelli forti da neutralizzare). Altra cosa è la vigilia d’un allenatore che vive il proprio ruolo e le responsabilità on maniera maniacale, ossessiva direbbe Mascherano: e che dovendo ragionare non solo per sé ma anche per gli undici che se la giocano e per gli altri che potrebbero farlo, deve andare a scorgere le diagonali giuste di passaggio e quelle di coperture. Inutile lo spargimento di adrenalina.

IL PRECEDENTE – E poi c’è un filo di scaramanzia, quel virus incontrollabile (e persino imparabile) che s’intrufola persino in chi è un po’ british e assai spagnolo: la prima volta, mica tanto tempo fa, fu un successo e ciò che resta di quel Napoli-Catania, primo novembre, è un 2-1 che pesa, tre punti che brillano e la conferma d’aver visto giusto, d’essere andato a parare in un senso di responsabilità che non ha prodotto controindicazioni, in quella testimonianza d’efficienza assoluta manifestata attraverso novanta minuti di contenuto tecnico e pure atletico.

IL SISTEMA –  Il Napoli più alternativo che si ricordi, dunque, opta per la condizione familiare, evita di traslocare (anche se solo per una notte), si concede una umanissima distrazione, rimuove la pressione, libera la mente e punta dritto al cuore del problema, che per stavolta è il Parma, utilizzando una strategia insolita, non unica ma rara ed abolisce il ritiro: d’altro canto, scusate, non gioca in casa? Detto e fatto.

Fonte: Il Corriere dello Sport

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