E poi hanno deciso gli dei: perché in quello spicchio di Atalanta-Napoli, novantatreesimo, la palla sul dischetto viene consegnata al cielo, al destino o a chi governa le banalissime cose. E’ 1-1 e Higuain ha la possibilità di chiuderla lì, di dimenticare l’erroraccio di Callejon e lo spreco in 45 minuti divenuti (alla fine) oziosi: ma quegli undici metri rappresentano un tragitto tormentato, che conduce dritto nell’inferno d’una delusione che avvolge el Pipita e dalla quale l’Atalanta viene strappata dal prodigio di Sportiello.
IL BUNKER. Raccontarla, eh già: perché c’è un monologo per circa un’ora, c’è una squadra che prova e l’altra che se ne sta sulle sue, forse consapevole dei propri limiti e per infilarsi oltre quella cintura serve calcio orizzontale poi accelerazione verticale che il Napoli stavolta non ha o mostra per venti minuti e poi a sprazzi e all’Atalanta va benissimo così: 4-5-1, che poi diviene 4-2-3-1 in fase offensiva (dunque raramente) ed una concessione pressoché nulla dello spazio, ma pure dei tempi, perché il pressing bergamasco (che parte solo dalla trequarti) diviene sistematico. E’ una scelta e Colantuono si aggrappa alla consistenza difensiva per afferrare ciò che offre una serata altrimenti allarmante: però è sofferenza allo stato puro, perché al Napoli viene consegnato il campo e il diritto di osare, perché dall’inizio alla fine è un monologo che viene aperto (2’) da un destro di Higuain fuori di niente, poi ribadito da un Mertens incontenibile che (11’) costringe Sportiello a chiudere sul primo palo e poi sull’assist-rasoiata (18’) non viene sostenuto da un «rimorchio» adeguato.
UNA SQUADRA. Il calcio, per divertire, ha bisogno d’una contrapposizione libera, pur negli schemi, ma l’Atalanta se ne sta all’angolo, ammorbidisce i colpi mai secchi (18’: Hamsik smanacciato da Sportiello), ringrazia Callejon (32’) sciupone d’un contropiede – l’unico – allegramente elargito, poi si gode la flessione atletica di chi ha speso (inutilmente) e così tanto. Le difficoltà in fase di decollo restano, Migliaccio (o Baselli) va a mordere Inler, Benalouane ondeggia su Mertens, Del Grosso può controllare un distratto Callejon e al Napoli il palleggio si trasforma in esercizio accademico che lascia un però indicativo possesso palla del 79%. Un’esagerazione.
RIPRESA . Ma quella dell’Atalanta, è un auspicio per elevare la qualità del gioco e quando il sinistro di Mertens (9’ st) strappa un oohhh di paura all’intero stadio – palla fuori d’un palmo – la percezione è che qualcosa stia emotivamente cambiando, perché in quel modo, altrimenti, sarebbe la resa. Il Napoli s’è un attimo sgonfiato, ha meno gamba per coprire e fatalmente s’allunga (13’) sul contropiede avviato dalla sponda di Denis per lo scatto a destra di Raimondi, che ha sensibilità nel cercare «el Tanque» ed esaltarlo nel pezzo pregiato della ditta: segnare alla sua ex. Incredibile ma vero, come il gol che Callejon (17’) ha la capacità di sbagliare a un metro – anzi meno – dalla linea bianca, dopo che Ghoulam ha lasciato tutti sul posto e superato persino Sportiello.
DISPERAZIONE. Ma il Napoli è sotto choc, infila Insigne per Hamsik (con Mertens al centro e lo scugnizzo a sinistra) ed ha una barriera non solo umana da superare e non basta la lucidità di Jorginho per andare oltre i limiti e le coperture altrui: a Callejon viene meno la «sua» giocata (28’) sul lancio di Inler, all’Atalanta viene meno Cigarini (38’ fuori per somma di gialli) ma a Benitez non può venir meno Higuain, non in quel momento (40’), sulla girata dell’1-1. Ma el Pipita è tra gli umani e, dopo l’ennesima prodezza di Sportiello (43’) su Mertens, scopre cosa significhi soffrire ancora: il rigore (fallo di Stendardo su Zapata) è un tarlo (un altro dopo quello con il Chievo) che fa male.
Fonte: Corriere dello Sport
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