«Signori, la pasta e fagioli è servita”» L’annuncio di Salvatore Carmando nel bel mezzo dei saluti ufficiali delle autorità cinesi al Napoli. Roba, del ’95 o del ’96 chi se lo ricordava più. S’era da poco consumato l’addio con Vujadin Boskov e, affidato a Enzo Montefusco allenatore e a Carlo Juliano capodelegazione, il Napoli volò per la prima volta in Cina. Una tournée. Una esibizione. C’era la voglia dei cinesi di conoscere il Napoli, quasi da ambasciatore del calcio italiano, e il tentativo del Napoli -ahilui però già alle prese con un po’ di guai- di cercare e trovare nuove frontiere e nuovi mercati. Era una buona idea, bisogna ammetterlo, ma i tempi non erano eccellenti.
NON ERA E’ STATA UNA GAFFE – Quattro partite, comunque. La prima a Dalian, Carmando cuoco per deliziare i cinesi con pasta e fagioli Agostini “Condor” diventò un idolonella provincia di Liaoning, Poi a Canton. Poi a Pechino. E prima di cominciare, quel: «Signori, la pasta e fagioli è servita». Che non fu una gaffe. Tutt’altro. Perché prima dell’ufficialissimo incontro tra le delegazioni, uno dei “pezzi grossi” del potere di Pechino espresse un desiderio: assaggiare una specialità napoletana. Detto fatto.
Sasà s’impadronì della cucina dell’hotel e tra lo stupore e il divertimento degli chef cinesi preparò quella che era pure una sua specialità. E quando interruppe saluti e convenevoli non ci fu imbarazzo da parte di nessuno. Bensì, un guadagnare subito le tavole imbandite per quel fuori programma saporito. Fu un trionfo per Carmando.
UN ALTRO PIANETA – Ma fu un trionfo anche per il Napoli, che ovviamente non ebbe problemi a vincere largamente tutte le partite. E beniamino dei cinesi diventò subito Massimo Agostini, il Condor, che fece più gol in quella tournée che in tutto il campionato. Gol che, invece, diventarono un divertente tormento per il capo della comitiva azzurra. Perché, questo prevedeva il protocollo e l’ospitalità cinese, ad ogni gol il rappresentante di quella nascente Federcalcio, presente a tutte le partite, si alzava dalla sua poltrona e andava a stringere la mano a Carlo Juliano.
Cosicché l’unica mezza delusione dei cinesi fu l’assenza di Boskov. Non tanto per le riconosciute qualità di “zio Vuja”, quanto per il fatto che un bel po’ d’anni prima, proprio a Pechino Boskov era stato ospite di Mao. E di quell’incontro l’allenatore custodiva orgoglioso anche una foto.
UN TRIONFO – Ma i gol del Condor e la pasta e fagioli di Carmando cancellarono presto l’amarezza per quella defezione. E il Napoli, seconda squadra italiana a mettere piede in Cina dopo l’Inter, diventò in quei giorni una vera e propria attrazione internazionale. Quando era in campo a dare amichevoli lezioni al nascente football cinese e anche quando nei panni del turista se ne andava in giro per i luoghi simbolo del Grande Paese: Muraglia innanzitutto.
Prima volta in Cina e seconda in Oriente, quella volta. Il Napoli, infatti, da quelle parti era sbarcato già nell’88. In Giappone. A Tokyo, per essere precisi. Ci arrivò grazie a Maradona. Lui e solo lui volle il calcio giapponese per festeggiare il proprio passaggio dal dilettantismo, dall’improvvisazione al professionismo. E lì, sì, che si sfiorò l’incidente diplomatico e “amministrativo”. Per giocare quella gara, infatti, Diego, attore principale, aveva concordato un ingaggio personale. Ma un’ora prima del match, di quei dollari non ne aveva visto manco l’ombra. Cosicché Guillermo Coppola, il suo manager del tempo, mentre lo stadio di Tokyo era già strapieno, annunciò che Maradona non sarebbe sceso in campo. Tremò il Napoli. Tremarono gli organizzatori. Comparvero i dollari e all’ora stabilita, mentre il Napoli e la Nazionale giapponese erano già schierati in campo, un fascio di luce illuminò l’ingresso solitario di Diego Maradona. In ottantamila in piedi ad applaudirlo sino a quando non fu a centrocampo. Un trionfo di squadra, ma soprattutto personale. Ricordi, certo. Ma che bei ricordi!
Fonte: Corriere dello Sport
La Redazione
A.F.
A.F.
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