Arriva a sorpresa in Procura quando manca una manciata di minuti alle 9,30. Dribbla tutti, Ezequiel Lavezzi: l’asso del Napoli varca a sorpresa di buon mattino l’ingresso del palazzetto bianco e, scortato da due poliziotti, sale al decimo piano dove ad attenderlo ci sono due magistrati: Sergio Amato e Enrica Parascandolo, titolari di una delle inchieste più delicate, quella sul presunto riciclaggio di denaro e sui rapporti tra alcuni imprenditori della ristorazione con ambienti della camorra cittadina.
Camicia azzurra e blue jeans, occhialoni da sole e scarpette da ginnastica, il «Pocho» è stato convocato in qualità di persona informata sui fatti, e dunque non da indagato; ha chiesto e ottenuto comunque dai pubblici ministeri di essere assistito da un avvocato suo amico, iscritto al Foro di Roma.
Per due ore l’asso argentino del Napoli ha risposto a tutte le domande degli inquirenti. Al centro del faccia a faccia con i pm il mistero degli astucci di preziosi orologi ritrovati dagli uomini della Direzione investigativa antimafia di Napoli durante una perquisizione in casa di Marco e Massimiliano Iorio, i fratelli imprenditori finiti in carcere con accuse molto gravi, e ritenuti dalla Direzione distrettuale antimafia vicini a Bruno e Mario Potenza, il cui denaro – frutto di usura – sarebbe stato reinvestito (e quindi ripulito) in una catena di noti ristoranti del lungomare. In questa stessa indagine compare anche il nome dell’ex capo della Squadra mobile di Napoli, Vittorio Pisani, al quale i pubblici ministeri contestano i reati di favoreggiamento, rivelazione di segreto e corruzione.
Ma torniamo a Lavezzi, il cui interrogatorio è stato segretato dai magistrati. A quanto si è appreso, i magistrati gli hanno chiesto ragguagli su alcuni orologi i cui astucci vuoti erano stati trovati nel corso di una perquisizione in casa di Marco e Massimiliano Iorio. Secondo il boss Salvatore Lo Russo, oggi collaboratore di giustizia, le cui dichiarazioni sono alla base dell’inchiesta, gli orologi erano dello stesso Lo Russo, che li aveva affidati in custodia a Iorio, con il quale era in rapporti di affari. Secondo la famiglia Iorio, invece, gli orologi appartenevano a Lavezzi. Secondo indiscrezioni filtrate a margine dell’interrogatorio, Lavezzi avrebbe smentito di esserne il proprietario.
Un fatto è certo: all’esito di questo interrogatorio gli inquirenti ritengono di essere in possesso di importanti elementi che corroborerebbero le tesi dell’accusa. Indagine complessa e dalle molte sfaccettature, quella sul denaro utilizzato per aprire una catena di ristoranti e paninoteche utilizzando il denaro sporco proveniente da un colossale giro di usura. Al centro restano le figure di Bruno e Mario Potenza, da un lato; e di Marco Iorio, il patron della catena di ristoranti targata «Regina Marghjerita». Ma centrali restano anche le rivelazioni fatte dall’ex capoclan dei «Capitoni», Salvatore Lo Russo. Racconta l’ex boss oggi pentito:
“All’incirca nel 2005 avevo la disponibilità di una forte liquidità, circa due milioni di euro. Mi rivolsi a Bruno Potenza, al quale chiesi se potessi entrare in società nei ristoranti, facendo riferimento ai tre della catena Regina Margherita e Pizza Margherita. Sono i tre ristoranti gestiti dai fratelli Iorio. Marco Iorio mi disse che si poteva fare ed allora si trattava di poter determinare la quota annua che mi spettava. Io chiesi 150mila euro all’anno, da versarmi nel mese di dicembre. Ricordo che a questa mia proposta Marco Iorio mi rispose: noi facciamo le pizze, mica vendiamo la cocaina, contropoponendo 70-80mila euro. Alla fine ci accordammo per 100mila euro”.
La Redazione
A.S.
Fonte: Il Mattino
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