Venivano da un filotto negativo – cinque sconfitte consecutive – roba da far saltare i nervi a qualsiasi tifoso. Comprensibili rabbia e disamore, anche se poi, quanto avvenuto quella domenica di primavera ha da sempre insospettito gli investigatori. La cronaca è facile da ricordare: teppisti travestiti da tifosi attesero la squadra al rientro da una trasferta da Pistoia, costrinsero i giocatore a lasciare il bus della società e imposero loro una sorta di gogna stracittadina: via la maglia della società, calciatori in mutande. Qualcuno provò a scappare, qualcun altro si sentì male. In tanti, quasi tutti, rimasero in mutande. Titoli da giornali nazionali. Era il 29 marzo del 2009, al termine del match perso dalla Juve Stabia a Pistoia. Da allora, su questa storia di calcio e violenza, c’è una svolta investigativa, quanto basta a convocare in Procura, come persone informate dei fatti e potenziali parti offese due calciatori un tempo militanti nella Juve Stabia. C’è una ipotesi, una pista da battere: quella rappresaglia offensiva fu organizzata grazie a presenze di esponenti della camorra stabiese – il famigerato clan D’Alessandro – ben disposte tra le fila del tifo organizzato.
Un pasticcio esplosivo: tifo, teppisti e camorra. Con quale obiettivo? È qui che c’entra l’argomento scommesse. Inchiesta condotta dalla Dda di Napoli, al lavoro il procuratore aggiunto Rosario Cantelmo, dei pm Pierpaolo Filippelli e Claudio Siragusa. Quella rappresaglia – è il ragionamento investigativo – non fu un travaso di bile, ma una mobilitazione organizzata a tavolino. Tutto si consumò una settimana prima di un altro match discusso, la partita degli scandali e delle inchieste incrociate, quella vinta contro il Sorrento grazie a una «papera» del portiere Cristian Bianconi. Vicende che ritornano, che vengono rilette in modo omogeneo alla luce degli accertamenti dei carabinieri del capitano Alessandro Amadei. Camorra, calcio e scommesse, dunque. Quanto basta ad ascoltare due calciatori vittime della rappresaglia consumata a Castellammare di Stabia – Biancolino e Grieco – anche per capire cosa accadde nel giro di pochi giorni. Una settimana dopo la partita con il Sorrento, un match ritenuto truccato. La camorra voleva impedire che alcuni giocatori entrassero in campo? Il clan organizzò l’assalto alla squadra per avere mano libera sulle scommesse? Per fare puntate perfette su un risultato costruito a tavolino, assicurandosi l’assenza di qualche giocatore in particolare? Domande che entrano spedite in un fascicolo contenitore, che proprio nei mesi estivi ha macinato accertamenti e verifiche. Da quella partita – il match perfetto contro il Sorrento – l’inchiesta ha assunto un profilo più alto. Indagine di sistema, accertamenti di mezzo mondo. In Brasile, in Messico, ma anche in Spagna e Germania, dove la camorra del clan D’Alessandro avrebbe trovato il modo per assicurarsi puntate sicure, scommesse sui numeri giusti. E i circuiti in questo campo possono essere differenti, almeno a voler ripercorrere le mosse dei broker del malaffare stabiese. Riciclaggio, gestione clandestina del totonero, fino ad arrivare al filone ritenuto maggiormente sensibile: quello delle partite combinate, delle ipotesi di accordi che avrebbero visto protagonisti finanche calciatori ed espressioni degli apparati societari dei club calcistici di volta in volta finiti nel mirino degli investigatori. Almeno una trentina le partite sospette. C’è un elenco su cui sono a lavoro gli inquirenti della Procura del Centro direzionale, si va dalle serie minori fino alla serie A. Non mancano «aneddoti» investigativi: come la storia di due gruppi criminali che scommettono su risultati opposti a proposito della stessa partira, una sorta di continuazione della faida criminale con altri mezzi, quelli assicurati dai circuiti bet on line.
La Redazione
A.S.
Fonte: Il Mattino
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