Hanno sentito tre esplosioni, forse quattro, e sul momento non hanno nemmeno pensato che si trattasse di colpi di pistola. Che fosse un agguato di camorra l’hanno capito dopo, quando hanno notato il ragazzo moribondo sull’asfalto. Forse hanno visto, ma di sfuggita, uno scooter che correva verso Pianura. Oppure lungo via Montevergine. O in direzione Rione Traiano. Chi timidamente indica una direzione subito dopo fa spallucce, non è sicuro, ammette che forse si sta sbagliando e che non ha visto nulla. È da questo scenario che partono le indagini dei Carabinieri della Compagnia di Bagnoli che, insieme a quelli del Nucleo Operativo del Comando Provinciale di Napoli, dovranno fare chiarezza sull’omicidio di Renato Di Giovanni, il giovane di 21 anni ucciso per strada lo scorso venerdì mattina a Soccavo. L’agguato è avvenuto dove via dell’Epomeo si incrocia con via Montevergine, circa un quarto d’ora dopo mezzogiorno. La strada è quella dello shopping, frequentatissima dalla mattina fino all’orario di chiusura dei negozi.
Nessuno, però, si è fatto avanti per fornire una testimonianza agli investigatori. Che non sarebbe arrivato un nome, che nessuno avrebbe fatto una descrizione precisa, era da metterlo in conto, perché comprensibilmente la paura di subire ritorsioni è ben più forte del dovere civico quando si tratta di indicare un uomo che non si è fatto scrupoli a spezzare la vita di un ragazzino. Sono mancate, però, fino a questo momento, anche indicazioni generiche. La ricostruzione dei carabinieri è ricavata da deduzioni e ricalca le modalità degli agguati di stampo camorristico. Si ritiene che fossero in due e che fossero su uno scooter per la rapidità con cui sono spariti dall’incrocio dopo aver sparato, ma non è chiaro se fossero a volto scoperto o se indossassero caschi o sciarpe. Anche sulla direzione verso cui sono fuggiti resta il dubbio: di certo si sono allontanati subito dal posto e, viste le condizioni di traffico di via dell’Epomeo, è plausibile che si siano infilati in un vicolo. Il più vicino è via Montevergine, che con uno scooter si può agevolmente imboccare contromano. La direzione di fuga, però, può significare tutto e niente: anche salendo lungo via Montevergine avrebbero potuto proseguire verso via Palazziello o tornare nuovamente verso via dell’Epomeo, continuare in direzione Pianura o scendere verso il Rione Traiano. Le immagini registrate dagli impianti dei negozi sono state già acquisite, ma da quelle difficilmente verrà fuori qualcosa in più di un bagliore, un pneumatico a margine dell’inquadratura o un pedone che accelera il passo: le telecamere sono puntate sugli ingressi, non sulla strada. A sciogliere il mistero avrebbero potuto pensarci le telecamere di sorveglianza, grazie alle quali, si sarebbero potuti ricostruire i movimenti dei killer per stabilire il tragitto e, di conseguenza, indirizzare le indagini verso un determinato gruppo malavitoso. Ci avrebbero almeno provato, se quelle telecamere ci fossero state: lungo via dell’Epomeo, nei vicoli che la intersecano, tra i palazzoni che si affacciano sulla strada dello shopping di Soccavo, non c’è un solo occhio elettronico attivo. Zero. All’assenza di tecnologia, normalità per le periferie, si sopperirà con le indagini vecchio stampo: i familiari e i conoscenti della vittima, compresi gli amici, sono stati ascoltati. E ci si interroga sugli equilibri di potere tra i clan della zona. Attualmente sembrano appianati, o perlomeno sopiti, i contrasti tra i gruppi del Rione Traiano e quelli di Soccavo e appare poco verosimile che i malavitosi contrapposti ai Marfella di Pianura abbiano deciso di spostare lo scontro in un altro quartiere, preferendo colpire non direttamente i nemici ma un clan a loro alleato.
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