La prossima spedizione è già pronta, ma il Napoli viaggerà senza sorriso dopo la sconfitta subita a Catania: andrà a Monaco di Baviera, sud della Germania e profondo nord per chi parte dal mare. Non sarà solo una missione di aggiornamento, un’altra tappa di questo fantastico giro tra piccoli paradisi dell’organizzazione calcistica che De Laurentiis studia per realizzare il proprio modello originale. È giunto il momento dei primi esami, dove il risultato condiziona il futuro. Questione di punti di vista, come sempre.Ma per ora, dopo nove giornate, appena due mesi, parlare di occasioni perdute è per lo meno ingiusto se la qualificazione agli ottavi di Champions league è sempre lì, a portata di mano, e se in campionato la squadra ha già battuto Milan, Inter, Udinese e si appresta ad ospitare la Juventus tornata predona. Tutto per un passo falso che gli ottimisti leggono come un segno, positivo, del destino: fu sconfitta (con il Parma) anche prima della partita d’andata, e il riscatto psicologico e fisico fu immediato. Per il Napoli occorre ripartire da un’equazione: Italia ed Europa pari sono. Per prestigio e per impegno, almeno fino a quando (il più tardi possibile, per il bene del calcio italiano) non si imporrà una scelta forzata. Sostenere una tesi diversa è come raccontare una parte di storia, magari quella più suggestiva e ricca di fascino. Porta verso una dimensione internazionale mai raggiunta in 85 anni di vita, ma non necessariamente questa sarebbe la più aderente alla realtà. L’unico grande successo europeo collezionato è legato indissolubilmente al nome di Maradona. Ieri, giorno del cinquantunesimo compleanno del Genio, si sono riviste in tv le immagini che proprio a Monaco (un altro indizio?) furono registrate in occasione della semifinale di coppa Uefa giocata contro il Bayern. Era solo il riscaldamento prepartita, ma fu spettacolo puro; il pallone sembrava magicamente attaccato alla sua figura: piede, testa, spalla, petto non faceva alcuna differenza. Ho visto ragazzini incantati davanti a quella incredibile sequenza di magie. È sempre una questione di uomini, più che di idee: del resto il neologismo titolarissimi Mazzarri non lo coniò per caso. Indicava, e ancora indica, una dipendenza quasi assoluta da un gruppo di giocatori che egli stesso sapientemente aveva assemblato, facendone una squadra che tendeva alla perfezione. Lavezzi-Cavani-Hamsik insieme pesano quanto Maradona, ma non sono solo loro la forza del Napoli: senza De Sanctis, ad esempio, sarebbe un’altra cosa; quando Maggio non consuma l’intera fascia destra l’assenza si sente; come pesa la mancanza di Gargano ora che è tornato un piccolo moto perpetuo. Quest’anno la base s’è pure allargata, Inler è stato cooptato nel club degli insostituibili, che però Mazzarri nel frattempo ha deciso di alternare secondo uno schema scientifico.
Ai tifosi è difficile parlare di scienza, l’emozione non viaggia sulle ali della logica, è sentimento puro che parte dalla pancia e non dalla testa. Secondo la ragione, dar torto alle teorie dell’allenatore è impossibile: allena uomini e non macchine, non sempre basta passare dai boxes per rimettersi in forma. E, al di là delle apprezzabili dichiarazioni di stima, non tutti sono uguali. Uguale deve essere, invece, l’applicazione verso tutti gli obiettivi: cinque punti dalla testa della classifica sono il limite massimo e non valicabile per rendere legittime le ambizioni. L’Europa attende il Napoli, ma l’Italia non è un premio di consolazione.
La Redazione
A.S.
Fonte: Il Mattino
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