Due volte gira la barca di Ulisse nell’inferno, alla terza è inghiottita dalle acque. Due volte Napoleone cade nella polvere e due volte riconquista l’altare, per poi morire in esilio. Due volte il Napoli assaggia il dolore sordo di una pugnalata. E la terza? La terza ribalta il pronostico, il superbo dominio degli avversari, la neghittosità dei pali, la classe di Buffon. Tutto sovverte, il Napoli, nella notte di Doha. E insegue la cattiva sorte fino alla fine, la incalza con la freddezza di uno, due, tre, tanti rigori che vanno a segno, e non s’arrende finché non s’arrende l’avversario, la leggendaria, blasonata, ricca, fortunata, esperta, prediletta, aiutata, plurimedagliata Juventus.
La stende con la caparbietà di chi ha capito che in campo non si vince per l’egoismo del campione, e neanche per la gioia dell’allenatore, né per i soldi del presidente. In campo si vince perché c’è una città che sta lì, a quattromila chilometri, con la deglutizione sospesa. Nel tentativo di aiutare con uno scongiuro del pensiero e del corpo quella dannata palla a finire dentro.
fonte: ilmattino
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