Il 7 marzo al San Paolo si ripartirà dall’1-3. L’illusione del grande colpo sui campioni d’Europa del Real è durata dieci minuti perché l’inerzia della partita è cambiata proprio nel momento che avrebbe dovuto dare maggiore energia agli azzurri, dopo il vantaggio costruito dall’asse Hamsik-Insigne in una zona di campo libera (col supporto del modestissimo portiere Navas). Invece, il Real è cresciuto e il Napoli si è sentito piccolo, molto più piccolo di quella che è la sua reale dimensione. Sarri aveva chiesto sfrontatezza, ma non si è visto tale atteggiamento: la squadra è tornata in quota, ad esprimere il suo calcio, dopo la bordata di Casemiro che ha piegato Reina, quando cioè ha compreso che non poteva restare là a proteggere il fortino senza ripartire perché un altro gol avrebbe chiuso il discorso qualificazione. E così Mertens è finalmente entrato in partita, arrivando due volte al tiro. È mancata la sua rapidità di manovra e di esecuzione, che accompagnata a numerosi gol ha consentito al Napoli di rimediare all’infortunio di Milik, tornato in campo ieri dopo quattro mesi e dodici giorni, quando Sarri ha deciso il cambio di modulo per aumentare la pressione, passando al 4-2-3-1. Certo, servirà un’impresa a Fuorigrotta, bisognerà farne due ai Galacticos davanti ai sessantamila che sono corsi ad acquistare i biglietti a inizio gennaio. Il Napoli potrà tornare in gioco cambiando atteggiamento. Dall’altra parte, vi sono interpreti straordinari – e Cristiano Ronaldo ha offerto un’altra prestazione non completamente esaltante – e per questo non si può favorirli con errori di posizionamento in difesa, come è accaduto in occasione dei primi due gol. Commetterli su un palcoscenico come questo risulta fatale contro una squadra come il Real, che non ha avuto più incertezze dopo il gol di Insigne. Più squadra del Napoli e si sapeva. Ma gli uomini di Sarri, specie i più giovani, non hanno superato l’esame di maturità, come il tecnico aveva definito questa missione che aveva stimolato l’orgoglio della tifoseria napoletana, arrivata in massa a Madrid. Deve crescere la squadra e quella del Bernabeu è stata un’utile lezione, un forte stimolo per sviluppare la personalità. D’altra parte, nella storia recente del Napoli vi sono state sconfitte sui campi di Juve e Roma, le squadre che hanno ottenuto i migliori piazzamenti in campionato con gli azzurri. Aspettarsi da Diawara e Zielinski la super prestazione era forse troppo, più di loro sono stati sotto tono Callejon e Mertens. Era importante non perdere la battuta a centrocampo e invece a segnare, dopo Benzema, sono stati Kroos e Casemiro, dimenticati dai loro avversari. Sarri non è riuscito a scuotere la squadra nell’intervallo, con quella capacità che aveva consentito cambi di passo in campionato tra primo e secondo tempo. E anche il discorso di Maradona prima della partita non deve essere stato molto chiaro, forse perché fatto con voce roca e pastosa. Il ko a inizio ripresa è stato micidiale, due reti in 5′ con difensori immobili, quasi paralizzati dal timore di sfidare il Pallone d’oro e i suoi compagni: Koulibaly è clamorosamente venuto meno, Albiol ha retto finché ha potuto. Fortissimi, capaci di imprimere una sensazionale pressione sugli avversari, ma non granitici, tuttavia oltre la prodezza di Insigne – unico italiano in campo – il Napoli non è andato. Grande la delusione, ma vi sono ancora carte da giocare, con quella fortuna che, volendo fare il paragone con trent’anni fa, non sostenne Diego e i campioni d’Italia nel return match col Real Madrid.
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