L’obelisco in stile futurista dedicato a Giuseppe Garibaldi è una delle attrazioni di Salto, Uruguay. Ricorda la strenua difesa nel campo San Antonio del battaglione da lui guidato contro l’esercito federale argentino. Da qualche anno, però, l’eroe dei due mondi non è solo il protagonista dell’Unità d’Italia e delle imprese sudamericane. Dopo il quarto posto del mondiale 2010 ottenuto dall’Uruguay, Salto ha fatto un tuffo nel passato, con tanto di pullman dedicato e strade bloccate, per tributare un omaggio al suo figlio più illustre, quell’Edinson Cavani che sulle rive del fiume Uruguay amano quanto Garibaldi, se non di più. L’eco dei quattro gol azzurri alla Roma, delle sette triplette segnate, della voracità realizzativa fa presto a varcare gli oceani. Ci pensa mamma Rai. Nulla a che vedere con Luis Suarez, attaccante del Liverpool. «Lui – protestano i salteñi, gli abitanti – non torna mai, sembra si sia dimenticato della città». Ecco perché Cavani è l’eroe. Quando è in città è un passa parola: sulla Rambla Costanera, il lungofiume dei locali da ballo, dove Edinson e la moglie Soledad hanno trascorso l’adolescenza, piuttosto che nel parque Solari, uno dei tanti di questa cittadina da centomila abitanti che deve la sua fortuna al fiume Uruguay. «Edinson è sempre stato una spanna sopra gli altri. Sia come persona che come giocatore». Poche parole che raccontano l’amicizia di una vita. Federico Vero Vinci è il console onorario italiano a Salto. Un giorno scrisse al sindaco di San Biagio Platani per avere notizie delle sue origini siciliane. Sulle colline agrigentine passò diversi mesi. Il suo concittadino Edinson Cavani giocava nel Palermo. Di lui, dopo la partenza da Salto per Montevideo, gli era rimasta una e-mail. Scrisse e per risposta ricevette un invito per assistere a Palermo-Milan. E così si apre il libro dei ricordi. Una tavola di Mondello con Soledad, Edinson e qualche amico. «La famiglia ha fatto grandi sacrifici per farlo studiare – racconta Vero Vinci – Mentre i genitori lavoravano duro, Carmelo Cesarini, il primo allenatore, lo andava a prendere con l’auto a sei anni al parque Solari per accompagnarlo al campo di allenamento». Prima il Nacional, poi Peñarol, Club Remeros, Salto Uruguay, Ferrocarril. Il campionato di baby futbol, l’equivalente italiano di pulcini, esordienti e allievi. «Ogni anno una squadra diversa fino al passaggio nel Danubio». Se Cesarini racconta di un ragazzo con una disciplina fuori del comune, Vero Vinci ricorda gli anni dei salesiani: «Nel cortile era un continuo giocare a pallone. Una volta scoppiò una rissa, lui mollò un cazzotto ad un ragazzo che era un po’ troppo agitato. Ma erano zuffe di ragazzi».
Sul lungofiume c’è sempre pronta una barca per lui e il padre Luis. Il sogno per tutti i pescatori di Salto Grande, nei pressi della diga, è la caccia al dorados. Sì, proprio quella sorta di enorme trota legata anche al ricordo delle battute di pesca di Maradona in Argentina. «Cavani – continua Vero Vinci – ha coltivato questa passione da piccolo. Assieme a quella degli uccelli. La casa di famiglia sorgeva qualche chilometro fuori Salto, in una zona di campagna. Da lì ai salesiani ogni giorno. Per noi le giornate erano quelle delle partite a calcio nelle piazze o nei parchi. Soledad? In verità la scintilla è nata più avanti, a Montevideo. Lei era in una classe superiore rispetto ad Edinson. È sempre stata amante del calcio e tra i due è stato lui il primo a voler farsi notare». Cesarini, Vero Vinci, il giornalista Valentin Fletcher. I nomi dei biografi di Cavani a Salto. «Quella mail la conservo ancora. Talvolta ci salutiamo e chiediamo rispettivamente come vanno le cose. Lui è orgoglioso delle sue origini. È sempre disponibile. La fama non l’ha cambiato. Allora come adesso. Cesarini mi racconta che sul campo ripeteva i gesti tecnici sempre con grande meticolosità». La passione per il pallone gli costò anche una bocciatura. Il resto è storia conosciuta: il trasferimento a Montevideo nel Danubio, la partecipazione al Viareggio nel 2006 con un gol segnato al Messina. Il debutto in prima squadra nel Clausura, la vittoria dell’Apertura. Gli scout europei che si accorgono di lui. Il presidente del Danubio chiese 150.000 euro, il Treviso ne offrì solo 70.000 e la cosa saltò. Arrivò il Palermo, anche il Real fece un’offerta ma il destino italiano era segnato. «Volete sapere a che punto arriva il disinteresse per i soldi di questo ragazzo? Una volta mi chiese: Federico lo sai che mi vogliono Adidas e Nike? Sto decidendo chi scegliere».
Fonte: Il Mattino
La Redazione
M.V.
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