Gentile redazione di IamNaples.it caro Luca, buongiorno a tutti voi. Sono Ferdinando Franzese, ho 24 anni e sono un grandissimo tifoso del Napoli, da sempre. Mi innamorai di questi colori sin da bambino, ovvero nel 2006, quando navigavamo tra Serie C e Serie B, ma già si intravedeva la rinascita. Negli ultimi tempi non riesco più a vivere una passione che è parte integrante della mia vita. Ma facciamo qualche passo indietro. Avevo sei anni quando vedevo mio padre, di domenica, andare via di casa. Una volta gli chiesi dove andasse e lui mi rispose: “A vedere il Napoli”. Fortemente incuriosito, gli chiesi di portare anche me. La folgorazione quando vidi i calciatori con la maglia azzurra scendere in campo. Una strana luce pervase i miei occhi. Che sono azzurri dalla nascita. Sentii un fuoco ed un ritmo incessante battere dentro di me: l’estasi. Quella partita domenicale era diventata un impegno imprescindibile per me e mi accorsi che l’esito della stessa cominciava fortemente a condizionare le mie giornate. Da un impegno domenicale, poco a poco diventò una passione che cresceva sempre di più: sì, il Napoli era diventato parte di me era, essenza dalla mia vita. Non potevo fare proprio a meno, mi faceva stare bene vedere il Napoli vincere, mi trasformava in una Pasqua. Avevo la sensazione di volare. Bastò un solo anno e diventò “na malatìa”. Era il pensiero principale tra i miei pensieri, anche se ovviamente so bene quali sono anche le altre priorità nella vita, ovvero il Napoli, la famiglia, il Napoli, la… il Napoli. Scherzi a parte, il Napoli è sostanza dei miei giorni. Purtroppo però la vita è gioie e dolori. Ferdinando, cioè io, quel bambino che si era fatto conquistare dai colori azzurri, pochi anni prima era nato con un problema motorio e dunque non poteva correre a destra e a sinistra come gli altri bambini rifugiandomi in quella squadra che, come canta Nino D’Angelo, “fa scurdà tutt’ ‘e problemi”. In quel che mi è successo non ho mai visto un impedimento, un problema, soprattutto da quando, quasi subito, ho scoperto l’amore per il Napoli. Da casa, ho sempre dato l’anima, da tifoso innamorato. Da Reja che ci portati dall’inferno al paradiso della Serie A, a Mazzarri che è stato il primo a far sognare tra lotta per lo scudetto (anche se con poche speranze di vincere) a notti in Champions. Intanto il Napoli cresceva ed io con lui. A 9-10 anni volevo sottoscrivere l’abbonamento per dare linfa alla mia seconda pelle, ma mai avrei immaginato che fosse così difficile, per me, stare accanto alla squadra. La realtà non corrispondeva ai miei sogni. Mi arrivavano maglie del Napoli, tute e ogni ben di Dio di colore azzurro, sempre presente in ogni ritiro a Dimaro (dove non vi è alcuna barriera architettonica) ma allo stadio non potevo andare per problemi strutturali dell’impianto. La più grande disabilità del mondo è la barriera mentale: l’ho sempre pensato e lo penso ancora. Contro quella non puoi fare proprio nulla. E così scivola via l’età infantile, la fase più bella della vita per andare allo stadio e soprattutto l’adolescenza, una fase più spensierata. Io, però, resto legato a quel richiamo, a quel cordone ombelicale chiamato Napoli. Ma niente da fare: continuo a soffrire da casa, a tifare da lontano.
Lo stadio San Paolo, oggi Maradona, è purtroppo inadeguato per chi ha problemi motori. E da napoletano fa malissimo sottolinearlo. Non c’è una pedana, non c’è – non dico un ascensore – nemmeno un elevatore, per consentire l’ingresso allo stadio ai diversamente abili che in un paese civile hanno pari diritti e dignità sociale a tutti gli altri. Lo dice l’art.3 della Costituzione italiana, o sbaglio?
Mi auguro, dunque, che il Comune, insieme al calcio Napoli, possano risolvere una volta per tutte questo assurdo problema. Voglio evitare parole dure per non urtare la suscettibilità di nessuno, però non è giusto che ad essere urtata sia la mia suscettibilità di tifoso innamorato pazzo della sua squadra. Chi mi restituirà la gioia di vivere il nostro Napoli allo stadio? Ho già perso, ahimé, tanti anni di tifo che avrei potuto vivere al fianco dei miei colori e che nessuno potrà restituirmi. Mi viene tolto un diritto, qualcuno mi sa dire perché? Voglio guardare al futuro con ottimismo (pur consapevole che certe ferite non si rimargineranno mai), ma per farlo ho bisogno di vedere azioni concrete. Non vorrei sentire le solite parole, ovvero che lo stadio è vecchio, che le leggi non sono retroattive e il solito copione. Se questa struttura è del 1959, la colpa non è di nessuno, e nemmeno mia, ma sicuramente ci saranno modi per renderlo a norma e fruibile per tutti, con pari diritti e dignità.
E’ vero che per il settore a noi dedicato sono stati fatti ottimi passi avanti (aumento dei posti) ma siamo tremendamente lontani dal trattamento di pari dignità sociale. Già concettualmente si parte male: perché bisogna destinare una parte dello stadio ai diversamente abili? E’ una discriminazione o sbaglio? Io da cittadino italiano e da persona fisica aldilà della mera questione dell’abbonamento annuale voglio avere la ibera scelta come tutti di accedere al settore che più preferisco pagando il biglietto ordinario e magari lì avere un minimo di posti riservati per ovvie ragioni. Mi sento come gli altri e non sono per nulla diverso. Ora mi perdonerete la provocazione forse un po’ esagerata, ma altrimenti che provocazione sarebbe? Mi spiegate perché durante Napoli-Palermo sono entrare bombe carta nel settore ospiti, mentre invece non si trovano soluzioni concrete ed immediate per consentire anche a noi di vivere la passione per il Napoli come meglio crediamo e vogliamo? Lo so, le due cose non c’entrano, ma voglio dire con un po’ di buona volontà si può impedire l’ingresso di bombe carta e favorire l’ingresso di chi ama veramente il Napoli. In attesa degli europei del 2032, speriamo di assistere ad un cambio radicale sul piano strutturale: nessuno può e deve dimenticarsi di noi. Se un domani dovessi diventare genitore, sarebbe devastante – per chi è così orgoglioso di essere napoletano e campano – non poter raccontare ai figli l’impossibilità di vivere il Napoli allo stadio solo perché diversamente abile.
Non sono né architetto né ingegnere, e proprio per questo mi auguro che a questa lettera qualcuno possa rispondere ad una mia semplice domanda: è così difficile immaginare montacarichi per far salire le persone? Ne troviamo ovunque, soprattutto nei supermercati. Non dico ascensori, sarebbe troppo evidentemente, ma montacarichi in sicurezza no? Sarebbero utili anche agli anziani. Servirebbe poco per aiutare chi vuole stare accanto alla squadra quando gioca al Maradona. Maradona, il genio ed il rivoluzionario che dà il nome a questo stadio, sarebbe sicuramente dalla parte nostra. Vogliamo semplicemente vivere la nostra passione e sostenere il Napoli. E’ un nostro diritto: chi di dovere ci dia risposte concrete. Grazie.
Dopo aver sostenuto un provino, ho la fortuna di frequentare un corso di teatro con il maestro Lello Arena, uno che alla città di Napoli e alle persone è riuscito a donare tante emozioni e cultura. In occasione della sfida contro l’Atalanta ero a Napoli: invece di rientrare a Ischia, avrei potuto sostenere la squadra, ma non mi è stato possibile farlo. La prossima in casa è con la Roma: sfida delicata, importante. Ci saranno novità? Lo spero con tutto me stesso, e se non con la Roma ce ne saranno durante l’anno? Sappiate che purtroppo ci sono persone che non possono aspettare il 2032 per avere risposte. Si parla tanto di inclusione, di diritti, di civiltà… E poi dietro a tutte queste belle parole si dimenticano che esistono le persone e i fatti concreti. Serve un cambio culturale radicale, il nostro paese ha bisogno di evolversi sul versante della modernità nel rispetto dei diritti, doveri e della dignità che sono e devono essere tali per tutti. Nessuno escluso. De Laurentiis parla di New Era che sia una nuova era davvero per tutti conclude Ferdinando
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