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Il made in Italia per rilanciare il sistema. Far crescere i vari Balotelli ed El Sharaawy del futuro

I talenti in Italia ci sono, manca l'organizzazione che esiste in Germanai

Tornare ai vivai. Sembra essere la parola d’ordine del calcio italiano del Terzo Millennio. De Laurentiis ieri ha rilanciato il tema; grandi club come la Juventus e il Milan di questa rinnovata attenzione ai settori giovanili, stanno già raccogliendo qualche frutto. E’ finita la sbornia «esterofila», il «mercato» nazionale torna a essere centrale nelle strategie dei club al momento della costruzione delle squadre. La cosa può regalare benefici un po’ a tutti: alle società di ogni ordine e grado, alle nazionali, all’immagine del calcio italiano che nel passato si è segnalato soprattutto per i grandi acquisti di stranieri e molto meno per la creazione di talenti «nostrani». Ora, sotto la spinta di condizionamenti economici contingenti, la situazione sembra essere cambiata e De Laurentiis se ne fa portavoce. Il calcio italiano ha per troppo tempo dimenticato la sua vocazione: «costruivamo» giocatori, eravamo diventati semplici importatori. Eppure tutti da una riscoperta dei vivai avrebbero da guadagnare. 

MERCATO – Negli anni migliori del calcio italiano, un aspetto fondamentale di quella che veniva chiamata «mutualità» era rappresentata dagli acquisti di giocatori delle piccole società (di B e C) da parte dei grandi club di A. Un flusso di denaro che attraversava il sistema, sostanzialmente rafforzandolo perché da un lato le società cosiddette minori potevano contare su risorse finanziarie cospicue (almeno per le loro dimensioni), dall’altro il calcio di vertice proponeva talenti in larga misura già formati. Un interscambio proficuo che a un certo punto (all’inizio dello scorso decennio) si è bloccato. I club di A hanno sempre più massicciamente cercato giocatori all’estero, le piccole società si sono progressivamente impoverite. Una riforma del Sistema dovrebbe in qualche maniera rimettere in moto anche questo meccanismo, distribuendo competenze e funzioni. Non si tratta di un anelito autarchico di tipo ideologico, ma di una necessità economica: il sistema regge, tiene e si sviluppa se riesce a collegare i suoi vari spezzoni su un interesse economico e tecnico allo stesso tempo. 
NAZIONALE – Negli ultimi tempi la Federazione ha spesso lanciato l’allarme. Eravamo fino a qualche tempo fa il campionato che schierava in campo più atleti «locali»; queste presenze negli ultimi anni sono andate sempre più diradandosi. Le conseguenze alla resa dei conti sono state negative per tutti. A cominciare dalla Nazionale che ai Mondiali del Sudafrica finì fuori nel giro di tre partite. Il mercato internazionale ora è diventato più avaro: i grandi giocatori costano molto e se li comprano gli sceicchi, i giocatori medi non valgono più di quelli che vengono costruiti in Italia. El Sharawy e Balotelli ma anche Insigne e Verratti dimostrano che l’Italia, dal punto di vista dei talenti, non sta peggio della Germania. Ma bisogna creare le condizioni perché questa scelta sia organica e non solo il prodotto di una «povertà» congiunturale. 
Fonte: Corriere dello Sport
La Redazione
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