Le pareti hanno le crepe e raccontano che un bel giorno, nella passata stagione, Goran Pandev fosse arrabbiato, ma sul serio: aveva voluto il Napoli, che l’aveva scelto, e però si sentiva poco gratificato da quel part-time prolungato. Le cose bisogna dirsele in faccia e nel bel mezzo d’un pomeriggio altrimenti anonimo, la coppia che stava scoppiando (Pandev e Mazzarri) si ritrovò in disparte a chiarirsi, a raccontarsi tutto, ma proprio tutto, senza negarsi nulla: sembrava finita lì l’esperienza del macedone ed invece fu quello il momento in cui si cementò (ulteriormente) il rapporto, rifondato sulla consistente e reciproca simpatia. Pandev a Napoli, un altro anno ancora, stavolta «titolarissimo», uno degli undici della formazione ideale, il genio (ed anche un po’ la sregolatezza) da cui aspettarsi il valore aggiunto. Quattro reti sono ancora poche, però sei assist rappresentano – a modo loro – una miniera: e, soprattutto, la versatilità del calciatore, che può spingere il tecnico a scegliere di avere due punte classiche, o anche una sola e una mezza punta (con Hamsik a metà campo) o ancora un solo attaccante (Cavani) con due incursori tra le linee. Anatomia di un processo di trasformazione tra due uomini che hanno cominciato a capirsi un po’ tardi ma alla fine ci sono riusciti e ora convivono felici e contenti e osservano la Champions.
Fonte: Corriere dello Sport
La Redazione
A.S.
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