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Il gol di Hamsik e le statue di sale

Il ricordo di una prodezza

Seconda di andata della Champions League. Napoli-Villareal. Fa caldo. Comincio a sudare. Lavezzi, sulla destra, ha il pallone tra i piedi. Sembra un bambino che ha sonno. Calcia verso di me. Un mormorio. Un ronzio. Forse il silenzio. Sento i respiri della gente, il suo sangue, i suoi lunghissimi anni; la porta si allarga e si stringe, si abbassa e si allunga, il portiere cerca di distrarmi indicandomi Dio, che sta nascosto dietro la porta, secondo il suo cattolicesimo da spogliatoio; una voce ripete male il mio nome, Hamstik, per convincermi a lasciar perdere, ma sono solo nell’area di rigore, i difensori alzano la mano per chiamare il fuorigioco come al catechismo chi non capisce mai la differenza tra i vangeli; il pallone lanciato da Lavezzi cuce l’aria, raccolgo nelle mie scarpe le delusioni delle donne e le bestemmie degli uomini, mentre arrivano allo stadio.
Non sono mai stato mancino, però il sinistro non è un estraneo al mio gioco, attendo l’arrivo del pallone caricando la gamba per reggere il cemento dell’intero stadio, ne sento la fatica nelle ossa. Devo solo cercare di eseguire alla geometria, non posso deviarla su altre traiettorie, per non essere triste e sbagliare il primo gol al San Paolo della Champions. Il Villarreal si muove sul campo come i morti in quel film di Almodovar, Volver, lontani dalle tombe sono soltanto olio buono per tenere caldi i muscoli e le preghiere. Il pallone pare stia attraversando un canale invisibile, ruzzolando con la stessa ironia dei dadi, che giocano a far male chiunque chieda cosa succederà. Ma io non ho paura, sono nato due anni prima della caduta del Muro di Berlino, sento ancora il suo crollo nelle mie orecchie. Quando la palla arriva sul piede sinistro, la faccio proseguire nel suo viaggio di morte, per loro, di vita, per noi. Slitta sul prato, il portiere, non ricordo il nome, è fermo, senza più fiducia, spaventato dalla sconfitta, il pallone sbatte contro il palo, per un solo attimo, prima di rotolare in rete. Infine sento un boato, immenso, enorme, gigantesco e non mento se dico di aver sentito esultare anche i morti sotto i miei piedi.

 

La Redazione

P.S.

Fonte: Il Mattino

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