Al suo arrivo al Palazzo di giustizia è stato quasi impossibile non fermarsi per una fotografia o una stretta di mano ad avvocati e cancellieri. Poi in aula Fabio Cannavaro, ex capitano della Nazionale di calcio, ha chiesto di non essere filmato né fotografato, si è seduto sul banco dei testimoni e ha testimoniato al processo su un giro di usura e sul presunto riciclaggio di soldi della camorra in noti ristoranti del centro di Napoli che vede tra gli imputati, l’imprenditore Marco Iorio e l’ex capo della squadra mobile Vittorio Pisani. Sulla scia delle domande del pm Sergio Amato, titolare dell’inchiesta assieme alla collega Enrica Parascandolo, Cannavaro ha ripercorso l’amicizia con Iorio, la conoscenza con Pisani, la scelta di investire in alcune attività dell’amico imprenditore, affrontando anche il tema della fuga di notizie sulle indagini in corso. E di fronte a qualche imprecisione e vuoto di memoria, il giudice Rosa Romano, presidente del collegio, lo ha redarguito con parole scherzose: «Capisco che lei abbia una vita frenetica, ma è giovane e non dovrebbe avere problemi di memoria. È strano che non ricordi fatti tanto importanti».
Tutto dopo che Cannavaro ha raccontato di aver saputo dell’esistenza di indagini sul conto dell’amico Iorio dal suocero, che a sua volta lo aveva appreso da uno sconosciuto cliente del bar che gestisce. Il calciatore ha collocato l’episodio nei primi mesi del 2011 e il pm gli ha fatto notare come il suocero abbia invece dichiarato che la circostanza risalisse al maggio di quell’anno. Quando poi l’esame del pm si è concentrato sulle fasi precedenti all’arrivo del calciatore a Napoli in vista della sua audizione in Procura, Cannavaro ha ricordato che gli amici gli prospettarono genericamente la necessità di incontrare l’avvocato di Marco Iorio prima di recarsi dagli inquirenti. «Mi venne a prendere all’aeroporto Alessandro Cioffi, un mio amico, e mi disse che prima di andare alla Dia dovevamo andare a parlare con l’avvocato di Marco, ma non ci fu tempo perché la polizia ci fermò e mi portarono direttamente in Procura». L’esame si è soffermato, poi, sulla frenesia dei contatti telefonici prima del suo arrivo a Napoli: «Mi tempestavano di telefonate, non ne potevo più. Non avevo nulla da nascondere e non vedevo l’ora di poter parlare con i magistrati», ha detto il calciatore. I rapporti con i suoi soci nelle attività di ristorazione erano nati da una scelta di differenziare i propri investimenti. «Conoscevo Marco e sapevo che era un gran lavoratore e un buon padre di famiglia, tra l’altro era un mio amico e non ci pensai su due volte – ha raccontato il teste – Ho investito circa 200mila euro nei ristoranti di Marco. Fui proprio io a chiedere di farlo perché volevo differenziare i miei investimenti e ritenevo quei ristoranti una buona azienda». Sempre sulle quote che decise di investire nelle attività con Iorio, l’ex difensore azzurro ha aggiunto: «Dovevo acquisire il 20% delle quote societarie del ristorante Regina Margherita ma Marco mi chiese se potevo prenderne il doppio perché aveva problemi con i fratelli. Ma facemmo un accordo notarile cosicché la quota eccedente sarebbe stata nuovamente ceduta a lui nel giro di un anno». Invitato a sforzi di memoria, l’ex difensore azzurro ha risposto anche a domande sui suoi rapporti di conoscenza con Pisani, ricordando una gita in barca a Capri e un incontro di sfuggita al ristorante Regina Margherita.
Terminato l’esame, l’udienza è proseguita con la testimonianza di un funzionario della Dia che ha iniziato a ripercorrere le fasi cruciali dell’inchiesta e proseguirà nell’analisi delle varie tappe investigative nel corso del prossimo appuntamento in aula fissato per il 6 novembre. Il 13, invece, è stata disposta la convocazione in aula di altri due calciatori: Ezequiel Lavezzi e Mario Balotelli.
Fonte: Il Mattino
La Redazione
P.S.
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