Il peso dei diciotto milioni di euro riemerge dai coni d’ombra d’ogni gara un po’ così; e poi l’attesa per quel centrocampista ritenuto l’ideale completamento d’un settore in cui servivano fisicità e piedi buoni. Mica facile vivere da Gokhan Inler a Napoli, dopo esserci stato benissimo a Udine, con pressioni ambientali assai relative e la possibilità di riuscire a far emergere se stesso attraverso la naturalezza delle giocate, magari semplici e però redditizie. Poi: lì erano in tre, lui a reggere la bacchetta del direttore d’orchestra e due medianoni a far legna, a sostenere la copertura, ad andare nello spazio, attraverso le «imbucate»; qui è maggior uso della fase d’interdizione, da condividere centralmente con un omologo di passo e di giocata diversa.
A Catania il Napoli non s’è visto e Inler s’è visto persino di meno (per soli quarantacinque minuti), perché nello spogliatoio, dovendo modificare lo spartito un po’ monotematico, Mazzarri ha anche riflettuto sul «carico» di quel cartellino giallo, comunque un impedimento, e ha concesso allo svizzero di respirare: e allora è rimasto Dzemaili, che ha minor senso geometrico e anche una battuta differente. Ma Inler non è un problema per Mazzarri, che nella sua visione calcistica rifiuta la presenza di un regista classico, del play maker in stile basket attraverso il quale passa qualsiasi soluzione: la premessa, nella gestione delle gare e nella creazione delle squadre, prevede la rimozione di qualsiasi punto di riferimento per gli avversari. «Questo» Inler, che sta davanti alla difesa e gioca in orizzontale e in pressione offensiva, a Mazzarri va bene, garantisce l’assistenza e il sostegno delle diagonali, e poi dà un contributo cerebrale, pure di autorevolezza. Perché un altro, al posto di Inler, si sarebbe già sciolto.
Fonte: Corriere dello Sport
La Redazione
A.S.
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