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Il futuro di Insigne è sempre più azzurro

Il ragazzo napoletano gioca una grande partita contro la difesa viola

Luci al san Paolo: e intorno, in quel microcosmo che gli appartiene, gli echi d’una felicità avvertita nella pelle. 2 settembre 2012, l’estasi ha una sua scadenza, l’ha scelto il destino, che stavolta non è né cinico né tantomeno baro ma un alleato straordinario, è in quella notte della stella ha concentrato scariche d’emozioni nelle quali è indispensabile resistere. E però c’è il san Paolo, la culla inseguita dall’infanzia, il sogno tracciato dalle parabole; e poi, ma chi l’avrebbe detto?, s’è già sparsa la voce e quella maglia ch’è il desiderio inconfessabile d’ogni essere umano travestito da calciatore insegue. «Non ci credo». La verità è in quel fascio d’euforia che s’espande nel “suo” stadio, nell’ohhh d’ammirazione che lo sostiene all’ingresso in campo: e l’Insigne ventunenne che ora va a spasso con la gloria, sa bene ch’è appena cominciata. «E’ bellissimo, però». E’ un sospiro lieve che s’impadronisce per un istante della scena, è un battito accelerato che però dura un nano secondo, è un Insigne privato che si defila di slancio, come nelle sue veroniche, e provvede a lanciare il Lorenzino il magnifico pubblico alla sua gente, perché ora quello serve: non c’è Pandev, e già non c’era Lavezzi, e dunque non è il momento di prodursi in autocelebrazioni, ammesso mai che avesse intenzione di farlo.

BRILLA – La notte di Insigne è un dribbling accennato di qua e un altro tentativo incoraggiante di là, la sfrontatezza di uno scugnizzo che si lascia scivolare di dosso ogni paura dinnanzi a quei giganti (improvvisamente) dai piedi d’argilla che finiscono per cadergli addosso, ammoniti: un po’ Roncaglia, un po’ Tomic, mentre il giovanotto s’è inventato un “sombrero”. Irridente, spavaldo, persino ignifugo, perché in circostanze del genere, mentre le fiamme divampano dentro, il fuoco rischia di divorarti: e allora, punizione dalla sinistra, il destro va all’impatto e crea una traiettoria perfida. E’ 1-0 e c’è il suo talento, che s’è limitato a generare il caos nell’area viola, spingendo la cresta di Hamsik nell’aria e Borja Valero all’autolesionismo. E poi, angolo da destra, la solita certezza, ci vado io, la mano che indica lo schema, la ribattuta per la “seconda palla” di Dzemaili, che ha la lama.
LA FAMIGLIA – Napoli 2, Fiorentina 0 e mentre Jovetic sta infilando pepe nel finale, a papà Carmine e a mamma Patrizia, a Genny che lo divora con gli occhi, ad Antonio e Marc, i fratelli, ad Antonio Ottaiano e Fabio Andreotti – i manager che l’hanno seguito dalla culla – ma anche a Giuseppe Santoro, il team manager che lo scovò in un provino, andò in sede e disse «prendiamolo» (e per millecinquecento euro) risulta complicato trattenere le lacrime nel sentire la standing ovation del san Paolo che all’ottantesimo viene rovesciata addosso all’ultimo eroe d’una città che (calcisticamente) non chiede altro. Roberto, l’altra metà del cielo di casa Insigne, il predestinato della Primavera, se ne è stato a casa, perché voleva goderselo pure con i replay.
CHE GIORNATA – Ma siamo agli inizi e stamattina è realmente un altro giorno, da condividere con chi scommise ad occhi chiusi su quel genietto del Napoli: con Peppino Pavone che lo volle a Cava de’ Tirreni, ad esempio; e poi con Zeman che l’ha trasformato in prodigio della natura prima a Foggia e poi a Pescara; e con Mazzarri che a Livorno lo lanciò nel mischione della serie A. E con Arrigo Sacchi che a Dimaro gli aveva annunciato la maglia azzurra e che su Mediaset Premium non si contiene: «Mi fa impazzire, è un campione vero, gioca a tutto campo, è un campione vero». Ma adesso è l’ora di Prandelli, che ci ha creduto e gli ha regalato la Nazionale. Il viaggio continua.
Fonte: Corriere dello Sport
La Redazione
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