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Il dilemma di Benitez: restare a Napoli per continuare il progetto o tornare nella “sua” Liverpool?

E dodici. La «decima», ma si parla di Coppe, è un involucro nel quale sono racchiusi i sacrifici d’un biennio (circa) contraddittorio, le sofferenze per averne sentite tante (e a volte troppe), le diffidenze da domare soltanto «grazie» il campo, perché l’Italia del calcio è questa, assai diversa da lui, e regola le simpatie, fors’anche la stima, attraverso i risultati. «Abbiamo vinto e dimostrato di essere squadra, di avere carattere, battendo un grande avversario come la Juventus. Ma io avrei detto bravi ai miei ragazzi anche se avessero perso». La chiameremo cultura del successo e anche della sconfitta, ed è filosofia «meritocratica» con la quale combattiamo da sempre e fatichiamo a comprendere: Benitez è in quel guscio universale – un po’ Madrid, un po’ Londra, la sana provincia spagnola, Liverpool – che non ha attecchito nella Milano nerazzurra (nonostante la Supercoppa italiana e il Mondiale per club) e che invece ha conquistato fasce larghe di Napoli, ma non l’unanimità che non è di questo mondo.

L’identita’. I giorni del sì o del no s’avvicinano, non ci sono date, né appuntamenti, ma un patto tra gentiluomini che De Laurentiis e Benitez hanno stretto in epoche non sospette, vincolati da una stima ch’è andata progressivamente dilatandosi, pur nelle diversità delle visioni, delle esigenze, delle responsabilità dei ruoli. Il Napoli ha larghe intese, un desiderio di svilupparsi che va però sposato con le proprie finanze: è un profilo economico da rispettare, per garantirsi benessere. E nel decennio, la scelta s’è rivelata premiante. Però restano le difficoltà strutturali, legate alla natura stessa del Paese, alle complessità burocratiche e anche ambientali per attrezzarsi adeguatamente con un Centro Sportivo che sia tale e con un Settore Giovanile che possa avere radici. Benitez è anglosassone, con rigurgiti madrilisti, fonde le sue due anime nel football e nell’organizzazione, sogna una «Cantera» e qualcosa che somigli vagamente all’«Aspire Academy», dove ha portato il Napoli a «studiare» mica solo per la Supercoppa ma anche per se stesso. «Vedete che bello».

Il leader. De Laurentiis vuole Benitez, la sua autorevolezza e pure il suo aziendalismo, e chissà quale «maledetto» asso nella manica proverà a tirar fuori quando verrà il momento di accomodarsi per discutere; e Rafa non sa cosa chiedere a se stesso, perché la famiglia è la priorità assoluta e Liverpool rimane distante, oltre a divenire argomento di divagazione, di interpretazione, nei blitz che si concede raramente. La «vacanza» – stavolta sì, è vacanza – ha i suoi effetti e le sue concessioni, tra le quali la possibilità di leggersi dentro, di dialogare con moglie e fanciulle, di tratteggiare il proprio destino e condurlo fin dove sarà (naturalmente, umanamente, anzi sensibilmente) possibile: perché forse Liverpool non è proprio, non è ancora, non è decisamente, dall’altra parte della Luna; e qui, c’è un gran modello di calcio che può appartenergli e spingerlo a crederci. Merry Christams, certo: ma fifty-fifty, come ciò ch’è scritto tra le stelle in cui oscillano Napoli e l’ignoto.

Fonte: Corriere dello Sport
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