Quello scudetto a Napoli nel 1987 riparò a un buco della storia, ma provocò un‘alluvione di pezzi di sociologia, psicologia, tuttologia, demagogia, superati in numero e pesantezza da pezzi che invitavano a non fare sociologia, tuttologia, psicologia, demagogia. Insomma, fu anche una sfida fuori del campo, fatta di parole e allusioni.
L’avvocato Agnelli disse che al Napoli avrebbe tolto Bagni per trapiantarlo in quella Juve. Corrado Ferlaino replicò che lui avrebbe tolto alla Juve tutti i giornali che aveva disposizione. Oggi forse le avversarie vorrebbero togliere a De Laurentiis Higuain, Hamsik o Benitez. Perché ora un altro Napoli, in un’altra era del calcio, affascina e regala sogni, mentre si cimenta a braccio di ferro con quelli che sono i potentati del pallone. Ed ecco che la domandina già circola tra i tifosi, diventa insistente col passare delle vittorie ed è quasi un credo dopo la partita col Milan: esiste un legame tra quella squadra e questa? Tra quegli uomini (calciatori, allenatore, dirigenti) e il club che De Laurentiis sta costruendo dal 2004 su ceneri blasonate ma decadenti?
Un sottile e immaginario filo, che unisce a tratti le due storie e poi le divide, c’è. Come in ogni raffronto bisogna, però, eseguire subito un’operazione aritmetica, in altre parole occorre una sottrazione: togliere Diego Armando Maradona dai parallelismi tra i due Napoli. Perché egli è il migliore in assoluto e di tutti i tempi, quindi irripetibile. Un fuoriclasse che ci ha lasciato un’unica curiosità: vedere Pelè e Di Stefano giocare con i ritmi più sostenuti dei suoi tempi. Il raffronto tra i due Napoli ha, però, ragione di essere perché oggi non solo nel Napoli ma nell’intero sistema calcio uno come Diego non esiste, quindi i paragoni diventano terrestri, ovvero alla portata di tutti.
Dunque il Napoli del 1987 vince il suo primo scudetto dopo 60 anni di ricorrenti frustrazioni. Allinea una quindicina d’italiani intorno a Maradona. Dispone del centrocampo migliore d’Italia, con due nazionali (Bagni e De Napoli), un regista di centrocampo recuperato in extremis al grande gioco (Romano), un’ala agile e generosa a sostegno (Caffarelli). Ha in porta un fenomeno di stravaganza e di coordinazione ogni volta miracolosamente recuperata all’ultimo istante, Garella: stile particolarissimo, che non incide sulla classe e sulla fortuna, così notevoli da fruttargli due scudetti (Verona e poi Napoli) in tre anni. Il centrocampo permette buone cose a una difesa spesso variata. In attacco dominano il genio di Maradona (ma va sottratto nel paragone col Napoli 2013) e l’altruismo di Giordano, superato nei gol da una mezza riserva come Carnevale. In più vanta dirigenti capaci di coerenza in ogni mossa; pubblico di esorbitante generosità, finalmente in grado di cogliere l’utile pragmatismo del calcio nazionale. E poi un tecnico di primordine, italianista convinto, serio e onesto, Ottavio Bianchi. Qui i due Napoli sembrano opposti ma invece possiedono un denominatore in parte comune: sono squadre guida nella sola conduzione tecnico-tattica (il modulo). Ottavio Bianchi ha scalato impavido l’ Himalaya dell’euforia e della depressione, tipico della passione napoletana, con freddezza d’animo. Rafael Benitez sta facendo lo stesso ma all’incontrario: in modo solare, simpatico, a volte sfacciato. Però il sistema di gioco per certi versi si somiglia, perché entrambi sembrano convinti che nessun tecnico ha saputo mostrare nulla di nuovo se non onorando e ottimizzando l’antico (al pari di Bianchi e Benitez a Napoli). A pagare più e meglio di tutti, qui da noi, è il modulo con marcature a uomo quando è possibile, senza ribaltare gli equilibri dei reparti: contaminazione con la zona quando lo consiglia il comportamento degli avversari. Palleggi a centrocampo a preparare gli spazi più idonei per l’affondo offensivo.
Il Napoli 2013 è un’orchestra con pochi solisti e soprattutto nasce da un rapporto tra presidente e allenatore nuovo e diverso. De Laurentiis vuole una squadra agile come il club ma che non inciampi nella mancanza di esperienza e nella storia personale di qualcuno, fatta di piccoli trionfi. Benitez ha, quindi, convinto e coinvolto nel progetto Higuain, Callejon, Albiol (Real Madrid), Reina (Liverpool). Il Napoli cambia botteghe e gusti al mercato. Il centravanti argentino non può ancora definirsi il migliore, ma è felicemente un valore aggiunto. Non è egoista. Ha ottima tecnica e una propensione al gol che ne mostra il talento. Esce dall’area e fa da sponda a testa alta per servire l’assist, cerca il triangolo basso anche a centrocampo, passa la palla indietro e scatta nello spiraglio libero. Ha tecnica, rapidità di pensiero.
Albiol spreca qualche palla in fase di contrasto. Tuttavia è essenziale, qualitativo, autorevole nel disimpegno. Callejon arretra e riparte, sulla fascia destra è come la lama in un coltello retrattile: non si limita a coprire, ma si accentra per dare densità, schizza negli spazi aperti. È più del vecchio esterno del Napoli 1987. Però segna come Carnevale e più di Caffarelli.
Reina dà sicurezza. Guida la difesa, fa da “libero” quando i centrali salgono, così come a suo tempo faceva Garella, in più rilancia subito e bene, guadagna metri grazie alla bontà dei suoi lunghi rinvii.
Insigne non è più «il ragazzo che viene dalla serie B», ma un fantasista importante: i difensori esterni non raddoppiano e lui dalla sinistra con la finta sul destro se li gioca tutti. Micidiali i tiri lunghi a giro. Inler sta guadagnando considerazione, difende e sa servire i compagni, non ha la geometria di Romano. Hamsik è quello col segno più: coesione, equilibrio, fluidità, tempi d’inserimento in area avversaria. Un attaccante-centrocampista o un centrocampista-attaccante, di qualità e rara professionalità.
Poi c’è Behrami solido schermo della difesa ma lontano dall’esuberanza fisica e dalla voglia di Napoli di Salvatore Bagni. La difesa oggi schiera Albiol e Britos, quest’ultimo irritante per come a volte perde la palla, è ancora tutta da scoprire. Il Napoli 1987 qui non ha confronti. Allora i pezzi forti erano fallo tattico e fuorigioco insistito, regolato dal braccio di Renica insieme con granatieri e guastatori che si chiamano Bruscolotti, Ferrario, Ciro Ferrara e via via gli altri. Oggi a tenere vivo questo confronto tra i due Napoli è una città che dal 1926 è in amore con il calcio, la sola che potesse dare una risposta così pronta per entusiasmo, fedeltà a questo exploit azzurro d’inizio stagione. Un potenziale unico in Italia, infinitamente più alto di un valore di mercato, unico in grado di sorreggere il Napoli 2013 nel percorrere la strada che può portare al grande sogno che manca da ventitré anni: lo scudetto.
Fonte: Il Mattino
La Redazione
G.D.S.
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