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IL CASO- Querelle con la Panini, il Napoli non vuole che i calciatori posino per l’album

Il Napoli dichiara guerra alle figurine. E’ l’ultima frontiera dello scontro sui diritti di immagine. Ma è una frontiera pericolosa perché rischia da un lato di violare accordi interni al mondo del calcio (un protocollo dello scorso mese di ottobre sottoscritto dalla Lega e dall’Aic) e un diritto (d’associazione) tutelato costituzionalmente e, addirittura, dalla Dichiarazione dei Diritti dell’uomo. La questione in sintesi è questa: nel momento in cui si aderisce all’Associazione dei Calciatori si consegnano all’organizzazione presieduta da Damiano Tommasi i diritti di immagine relativi al volto, al nome e al soprannome. Insomma, gli elementi necessari perché, poi, la Panini possa mettere mano al famoso album. La questione è annosa tanto è vero che lo scorso anno si rischiò che l’azienda che ha trasformato in un fatto sociale, di costume il «ce l’ho, ce l’ho, mi manca», non fosse nelle condizioni di realizzare l’album che da molti decenni allieta generazioni di ragazzi. Poi la questione fu risolta con un accordo che portò dei quattrini pure nelle casse della Lega di serie A, quindi nelle casse dei club. Un accordo tutt’ora valido. Il Napoli, però, ha deciso di riaprire la questione.

VISITA – Ieri Damiano Tommasi, presidente dell’Aic, e il direttore generale, Gianni Grazioli, nel loro giro dei ritiri hanno fatto tappa a Dimaro e hanno incontrato a pranzo i giocatori del Napoli. E in questa occasione sono stati messi al corrente della richiesta del club: «non iscrivetevi all’Aic perché i diritti di immagini sono della società». In realtà al Napoli (come a molti altri club) i calciatori cedono i diritti individuali perché quelli collettivi legati soltanto allo «sfruttamento del volto» (quindi non delle parti in cui compaiono gli sponsor che sono poi le parti che interessano ai club) in virtù delle intese intercorse con la Lega Calcio e dello statuto dell’Associazione vanno nel «portafoglio» dell’Aic che li usa proprio per l’album delle figurine, cioè per autofinanziarsi. Da questo punto di vista, lo statuto dell’Aic, all’articolo 25 è molto chiaro: «L’attività pubblicitaria attinente all’utilizzazione del diritto di immagine, del nome e dello pseudonimo, se a titolo individuale, è liberamente esercitata da ogni iscritto all’Associazione Italiana Calciatori… L’iscrizione all’Associazione Italiana Calciatori comporta peraltro l’automatica concessione a quest’ultima dei diritti all’uso esclusivo del ritratto, del nome e dello pseudonimo degli associati in relazione all’attività professionale svolta dai medesimi e alla realizzazione, commercializzazione e promozione oggetto di raccolte o collezioni o comunque di prodotti che, per le loro caratteristiche, rendano necessaria l’utilizzazione dell’immagine, nome o pseudonimo di più calciatori e/o squadre».

PUNTURE – Lo scorso anno la situazione collettiva si sbloccò con un accordo che per la prima volta prevedeva la divisione a metà dei ricavi tra Aic (che prima incamerava tutto) e Lega. Non è la prima volta, comunque, che il Napoli invita i suoi giocatori a non iscriversi all’Aic: medesimo invito sarebbe stato rivolto anche all’inizio della passata stagione. Questa situazione di «incomunicabilità» è confermata anche dal fatto che il Napoli è l’unico club della A a non trattenere sullo stipendio la quota associativa cosa che si fa per tutti i lavoratori iscritti a un sindacato. Dal punto di vista dei princìpi, è evidente che l’invito fa a pugni con l’articolo 18 della Costituzione Italiana ( «I cittadini hanno diritto di associarsi liberamente, senza autorizzazione per fini che non sono vietati dalla legge penale») e, addirittura, con l’articolo 20 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo ( «Ogni individuo ha il diritto alla libertà di riunione e di associazione pacifica»). Il caso, insomma, non è così semplice come a prima vista può apparire.

Fonte: Corriere dello Sport.

La Redazione.

D.G.

 

 

 

 

 

 

 

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