La partita perfetta (probabilmente) non esiste: e comunque è una rarità; e dopo, quando ormai i fumi della tensione agonistica sono evaporati, si può più lucidamente magari riveder se stesso e comprendere, giustificare o cancellare qualche scelta. Napoli-Milan, già attraversandola dal vivo, lasciava quesiti irrisolti ai quali, poi, s’è riuscito da dare (almeno una) risposta. Dal 2-1 al 44’ del primo tempo al 2-2 del 38’ della ripresa c’è praticamente mezzo match dentro, con i suoi mutamenti tattici, con la sua evoluzione e pure con l’involuzione. Mazzarri sceglie di rinunciare ad Insigne al 20’, quando la pressione avversaria è cresciuta: infila Mesto, lo manda in mediana, ad irrobustire gli argini, forse inconsapevolmente spedisce un messaggio ai suoi e comunque, strategicamente, indietreggia, pur liberando Hamsik da compiti di copertura. Intanto, De Sciglio ha allungato, ha tolto (le rare) iniziative a Zuniga e lo stesso Maggio è in difficoltà, con Boateng che gli sta alle spalle e va a togliere aria a Campagnaro, mandando in crisi il binario di destra. Entra Dossena a tre minuti dalla fine per il colombiano e Vargas, addirittura ad un minuto dalla comunicazione del recupero (duecentoquaranta secondi) per Maggio. Quelli che stavamo peggio già da un po’. Ma sono mosse determinate dalla disperazione e sfuggono ad un preciso disegno: perché la partita imperfetta è umano che esista.
Fonte: Corriere dello Sport
La Redazione
A.S.
