Steaua Bucarest-Napoli ci ha insegnato il profondo legame tra le tifoserie calcistiche e manifestazioni di carattere politico in alcuni Paesi. Oggi, Italia-Serbia ci mostra l’esplosività di alcune tensioni sociali che si aggregano intorno al calcio. La storia dei paesi balcanici è piuttosto complessa; sono passati solo undici anni dalla guerra del Kosovo, che ha riportato la vergogna delle bombe in piena Europa. Il conflitto nasceva da divisioni etniche ed un gruppo paramilitare serbo molto violento, come le tigri di Arkan, molto attivo nei combattimenti in Croazia, Bosnia Herzegovina e Kosovo, aveva profonde radici proprio nelle tifoserie delle due principali compagine serbe: la Stella Rossa ed il Partizan di Belgrado. La violenza quindi appartiene ad un mondo che milita nell’estrema destra e nell’ultranazionalismo. Nei giorni scorsi le cronache dei network di tutto il mondo hanno raccontato delle vergognose aggressioni delle tifoserie di Stella Rossa e Partizan a cittadini che partecipavano al Gay Pride. Il calcio non c’entra nulla con le scandalose scene che abbiamo assistito al Ferraris; la tifoseria serba ha voluto approfittare dei riflettori internazionali per manifestare il proprio credo politico, come dimostra lo striscione “Il Kosovo è il cuore della Serbia”. I nazionalisti non hanno mai accettato l’indipendenza della Repubblica del Kosovo ed hanno profondi consensi nel mondo degli ultras. Il calcio è solo il contorno di una storia che meriterebbe più l’attenzione della politica internazionale che degli sportivi. La parte facinorosa di tifosi serbi ha approfittato anche del clima di depressione intorno alla nazionale, dopo la sconfitta in casa contro l’Estonia, per accrescere il clima di tensione; infatti, hanno anche aggredito il portiere Stojkovic, che non era neanche in panchina. Dal punto di vista sportivo, si profila la vittoria a tavolino per gli azzurri, che complicherebbe le speranze di qualificazione della Serbia.
Ciro Troise
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