Nella settimana in cui salgono nettamente le quote-simpatia della Nazionale, qualificata ai Mondiali e di ritorno a Napoli, crolla l’immagine del nostro calcio. Mentre Buffon e compagnia daranno un nuovo senso alla loro visibilità accendendo le luci, con la loro visita a Quarto, sulla squadra anti-racket, una parte autorevole del mondo del pallone sta brigando per rendere inoffensive le sanzioni contro le discriminazioni. Forse perchè si sente più dalla parte degli intolleranti che popolano gli stadi che da quella di milioni di spettatori che si sono progressivamente allontanati da essi. Certi dirigenti probabilmente si sono riconosciuti in una recente statistica che ha stabilito che il nostro è il paese degli ultrà. Il 52,2% degli italiani si dichiara apertamente tifoso, con una crescita di 10 punti negli ultimi 5 anni. I tiepidi rappresentano il 13,7% della tifoseria, i caldi il 16,3, i militanti il 22,1. Una fusione di caldi e militanti porta al 38,4%, che non è poco. Sempre negli ultimi dieci anni i più accesi sono passati dal 15 al 22,1. Certamente sono più dei quattro gatti che ritroviamo perennemente nelle dichiarazioni dei presidenti dei club e della polizia. È il solito giochino: io so, tu dubiti, egli aspetta, noi commentiamo, voi non si sa, essi crescono. Oppure: io stigmatizzo, tu deplori, egli s’appella, noi non ci saremo, voi vegliate, essi godono. Se gli ultrà fossero un problema solo negli stadi, sarebbe troppo facile. La mentalità s’è allargata e ormai sono dappertutto. La percentuale più alta, anche se mancano i dati, si registra in Parlamento. Poi ci sono i sindaci-ultrà, i giornalisti-ultrà e via discorrendo. Ed ecco che diventa una prassi respingere le regole quando queste sono accompagnate dalle sanzioni. L’ultima levata di scudi, guarda caso trasversale, è quella di Galliani e colleghi assieme agli ultrà d’Italia (sic!). Uniti contro le punizioni inflitte per le cosiddette discriminazioni territoriali. Perchè, dicono, siamo sicuri che l’Uefa, che ha appena chiuso l’Olimpico per i cori dei tifosi della Lazio contro “i polacchi che puzzano”, chieda questo? O che Vesuvio lavali col fuoco e colerosi-terremotati sia ironia e non un atto spregevole e vergognoso? No, non siamo sicuri. E allora su, lasciamo che accada, perchè altrimenti pagano quelli buoni quando ti squalificano il campo o ti penalizzano la squadra. E quelli che da anni disertano gli stadi per paura dei teppisti, chi li tutela? Ovviamente nessuno perchè nel paese degli ultrà trattasi di maggioranza pacata e non di minoranza violenta. Eppure i club potrebbero fare tanto, invece di rendersi complici dell’intolleranza. Occorre una discontinuità definitiva da parte di dirigenti, allenatori, giocatori nei rapporti con gli estremisti del tifo. Servono decine di Giampaolo, che possano dire no agli ultrà che decidono di questo e di quello. C’è bisogno dell’apporto della polizia: i dieci, venti, cento “bravi ragazzi” che offendono e sfasciano tutto, vanno presi uno a uno e cacciati via per sempre. E volendo si potrebbe allontanare quest’aria mefitica già adesso. Come? così. 1) Il capo ultrà del Milan, Giancarlo Capelli, ha dichiarato a una tv: “Eravamo consapevoli del significato di quei cori e di cosa avrebbero provocato”. Il Milan pensava di fare denuncia contro ignoti per il danno subito? Sporga querela, gli ignoti sono noti. E il questore di Milano perchè non infligge i daspo a Capelli? 2) La curva dell’Inter ha incitato altri ultrà a far chiudere gli stadi inneggiando al razzismo e alla discriminazione. L’istigazione a delinquere è un reato previsto dall’art. 414 del codice penale. La pena è sino a cinque anni di reclusione. Insomma, s’è capito che volendo si può intervenire, quello che non si capisce è perchè il mondo del calcio sia così tollerante, sino ai limiti della complicità, con i propri demolitori.
Fonte: Toni Iavarone per toniavarone.it
La Redazione
C.T.
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