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Higuain va di fretta, all’Olimpico vuole esserci

IL RE. E’ nudo, clinicamente spogliato, con la tibia che se la passa benino e l’umore che va benone, con la Fiorentina che s’avvicina e il desiderio che s’ingantisce: ventiquattro reti e però la malinconia dentro d’aver dovuto piangere a dirotto, come manco un bambino, in quell’Arsenal-Napoli amarissimo, la vittoria più dolorosa da sopportare, con lo stadio ed el pipita svuotati d’energia, prima di raccogliere le forze e capire ch’era stato egualmente (terribilmente) bello; ma ora che Fiorentina-Napoli è sull’uscio dei propri pensieri, un poster in cui intrufolarsi con l’autorevolezza che può avere il principe del gol, il Garrore in salsa calcistico-partenopea ha altre pagine da libro Cuore da consegnare. Higuain è l’essenza, la sintesi del centravanti un po’ antico e un po’ moderno, il leader che usa il carisma e lo si sistema al centro del proprio universo: esserci è il problema che tormenta e per esorcizzare la paura, per scacciarla via a pedate, per inchiodarsi in quei sedici metri che rappresentano l’aria da respirare, il messaggio pomeridiano alla Napoli che palpita sa di investitura (semi)ufficiale.

GRANDI NUMERI. E’ la somma che fa la differenza, è quell’infernale macchina da gol che trascina Napoli a galleggiare nel vuoto pneumatico d’un sogno da vivere con gli occhi spalancati: ottantotto reti sparsi tra il campionato, l’Europa e la coppa Italia, un Higuain da perdersi e, alle sue spalle, l’altra faccia dei bomber ch’è in quella «sporca» mezza dozzina di scugnizzi capaci di qualsiasi diavoleria. Li domina, al di là del Pipita, tale José Maria Callejon, l’inatteso protagonista d’una stagione onirica: diciotto graffi sulla pelle dei «nemici», tanto per dar ragione a Rafa che gli ha sussurrato pubblicamente ed anticipatamente d’arrivare a venti. E’ l’affare dell’anno, 8.8 milioni di euro appena (cosa comprereste in giro con questa somma?), un tornado che va a destra e a sinistra e al centro, che fa l’attaccante e persino l’esterno basso, un jolly o un Fregoli o un indemoniato.

EHY, BABY. C’è un Napoli che stupisce ad oltranza, che ha spinto Benitez a confessare le proprie, umanissime difficoltà di «tagliatore di teste» («per me è dura lasciar fuori uno di quelli che giocano in seconda linea») , c’è una varietà di talenti che sprigionano soluzioni offensive: Hamsik è finito in un tunnel, complice due mesi di inattività, ma resta il capitano con guizzi che si rimediano raschiando il fondo dell’oblio; e Mertens, che è arrivato a nove, ha consentito di accelerare e di caratterizzare ulteriormente la trazione anteriore d’una squadra che vuol togliersi la polvere dalle spalle, dopo un anno da incompiuta. La formazione è un rebus e là davanti si può ondeggiare sino all’ultimo secondo: l’eclettismo di Insigne va al di là della sua prolificità, perché il calcio è anche fase difensiva e dunque coperture. E mentre s’avvicinerà la notte, nell’esamino entrerà Pandev, con il suo curriculum vitae e magari Zapata finirà per scorgere una luce a gara in corso per colmare l’ultimo vuoto di chi ha segnato ovunque, tranne in coppa Italia. Meglio abbondare: i latini ne sapevano pure in fatto di bomber…

Fonte: Corriere dello Sport
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