Tre campioni. Tre storie che si intrecciano tra di loro. Gonzalo Higuain ha un enorme vantaggio: li conosce entrambi. E pure bene. Con uno, Kakà, ha giocato insieme negli ultimi tre anni al Real Madrid. Con l’altro, Tevez, ha diviso spesso la nazionale argentina prima che l’Apache venisse escluso dalla Seleccion targata Sabella.
Storie di amicizia. Come possono essere quelle che si vivono e si consumano sotto i riflettori nel tempio milionario del calcio dei nostri anni. Con Carlitos, il Pipita ha in comune che da buon argentino ci ha messo esattamente un attimo ad adattarsi al campionato italiano. Tutti e due sono cresciuti nei «barrios» di Buenos Aires, tutti e due sono stati bandiere di due squadre che sono pezzi di anima per la capitale argentina: Gonzalo del River Plate, Carlitos del Boca. Non si incroceranno mai, lì nel campionato sudamericano. Perché quando Pipita arriva in prima squadra (debutta proprio contro il Boca a 17 anni e mezzo), lui intanto se n’è andato al Corinthians.
Eppure, i destini si intrecciano; perché tra i due ci sono solo tre anni di differenza. E si intrecciano nella loro nazionale in maniera beffarda: Carlitos chiude con la Seleccion in una notte fredda e bagnata, a Santa Fe nel 2011, sbagliando il rigore che costa all’Argentina l’eliminazione dalla Coppa America organizzata in casa vanificando proprio un gol che aveva segnato Gonzalo contro l’Uruguay.
Merito anche di Leo Messi che ha sempre promosso la più innaturale delle alleanze con «il rivale» del Real Madrid: la stella del Barcellona ha sempre preferito giocare con Gonzalo piuttosto che con la «tartaruga Ninja» (come in Argentina chiamano le punte basse) Tevez. Il Pipita ha restituito con gli interessi: 34 presenze e 20 gol. Perché Higuain segna con naturalezza, fin da ragazzino. Nel gennaio del 2007 il Real lo acquista per 13 milioni, nell’ottobre del 2009 Maradona lo fa esordire in nazionale e Higuain lo ripaga con un gol. Nel 2010 partecipa al Mondiale in Sudafrica e segna una tripletta alla Corea del Sud. In Spagna ha vinto tre campionati, due Supercoppe e una Coppa del Re: sei titoli e circa 160 gol in carriera sono un bottino da giocatore unico. Nel Real, si racconta, ha pagato per la sua scarsa «galatticità». Quando arrivò Kakà in Spagna, nell’estate del 2009 lo difese a spada tratta davanti alle critiche della stampa: «Se è in difficoltà è solo per i problemi fisici: lui è un grande campione, uno dei più forti giocatori al mondo».
E come Higuain, anche Kakà ha scontato la mancata conquista dell’ammirazione di Florentino Perez che ha sempre preferito Benzema al Pipita e tutti gli altri al brasiliano. Ma Gonzalo, al contrario di Ricky, a Madrid piaceva agli allenatori: Mourinho lo ha spesso preferito proprio al pupillo presidenziale. E il motivo è sempre quello: Higuain segna. Ed è per questo che nel ruolo di comprimario del francese non è voluto restare. Tutti e due hanno fatto le valigie da Madrid con il consenso di Ancelotti.
E poi le nuove stelle della serie A hanno anche altro in comune: sono estremamente combattivi. Higuain è riuscito a conquistare i tifosi del Bernabeu, avendo la meglio sempre su alcuni dei migliori attaccanti del mondo. Kakà a Milano era un vero idolo, e la sua accoglienza da figliol prodigo lo dimostra.
E Tevez? Solo con Roberto Mancini ha avuto problemi. Ma è stato tre volte Pallone d’Oro sudamericano, medaglia d’oro e capocannoniere ad Atene 2004, giocatore amato ovunque (anche capitano, da argentino, in Brasile con il Corinthians), di personalità, quella che gli ha permesso di indossare senza il minimo contraccolpo psicologico le magliette che furono di Diego Maradona ai tempi del Boca e di Del Piero ora. Tutti e tre inseguono il campionato di serie A: solo Kakà lo ha già vinto, nella sua precedente esperienza con il Milan. Per gli altri sarebbe la prima volta. La corsa è iniziata all’insegna del gol e dello spettacolo.
Fonte: Il Mattino
La Redazione
M.V.
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