Si parte soltanto con l’efficienza de «el pipita» garantita, altrimenti si rimodella il Napoli, costruendolo ad immagine e somiglianza d’un modulo ormai memorizzato e quindi adatto sia ad Hamsik che a Pandev che a Zapata, perché quelle due maglie (da prima punta e da centrale che gli sta alle spalle) se le giocherebbero uno slovacco, un macedone e un colombiano, seguendo modalità tattiche da definire ma assai semplici da intuire.
Che iella. Però il segnale è inequivocabile e le indicazioni sono sparse in otto mesi nei quali ne sono successe, e quante: c’è una cartellina che tracima di accidenti, ci sono episodi – tutti esclusivamente traumatici – che rappresentano la cartina di tornasole d’una stagione evidentemente caratterizzata dalla sfortuna, che evidentemente cieca non è. Perché ricapitolando, nel riassunto delle puntate precedenti, si ritrovano accidenti a catena, che spesso si sono sovrapposti andando a colpire, ma guarda un po’, contemporaneamente lo stesso settore: il caso ha voluto che Maggio si fermasse a settembre, Zuniga il primo ottobre e il due novembre Mesto prendesse la strada della sala operatoria, tre esterni su quarto, con la necessità di rifugiarsi in Reveillere.
Il sacrificio. Chissà mai quanto e cosa sia costato questo tormento esistenziale che nell’ordine ha poi costretto a fare a meno di Reina (l’unico con danno muscolare, ma alla schiena) e di Rafael, di Hamsik per due mesi e di Behrami per un altro mesetto e di Maggio ancora, stavolta persino per uno pneumotorace: storie di calcio, verrebbe da dire, tra cui quella di Higuain che s’è accorto subito di dover rinunciare a qualche cosa: forse solo Udine, forse. E poi, di corsa verso l’Inter e alla Fiorentina: magìa, ricomparirà.
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